Pensate alle parole con cui è stata raccontata sui giornali la morte di Sara Di Pierantonio, la ragazza di 22 anni uccisa e bruciata da un uomo che invece che affrontare i suoi problemi culturali, sociali, antropologici, mentali non ha trovato di meglio da fare che uccidere la donna che si era sottratta al suo possesso. Provate un po’ a visualizzare quegli articoli – lo so, è già complicato, dato che l’enormità della vicenda è già scomparsa dai nostri giornali. Ma nei pezzi dei giorni immediatamente successivi al femminicidio di Sara troverete la descrizione della vittima. Quello che ha fatto, quello che non ha fatto, come non si sia sottratta al suo “destino” (virgolette), come persino la geolocalizzazione del suo smartphone abbia contribuito alla sua morte. Un’impostazione che, per molti, fa parte del problema. L’analisi grammaticale dell’azione della donna, la necessità di difenderla e di difendersi, che fagocita l’attenzione delle azioni del violento e di come sia arrivato ad agire come ha agito. Non è un tema solo italiano, anzi. Andiamo in Australia, dove – si legge su The Conversation – “fino a poco tempo, la violenza domestica contro donne e bambini era invisibile al pubblico. Oggi invece ampia è la copertura mediatica, ma uno studio australiano – uno dei più grandi del suo genere – sottolinea come in questa copertura, gli autori delle violenze restino ancora sostanzialmente “invisibili”. Il termine “autore invisibile” si riferisce al modo in cui quasi il 60% delle notizie di stampa su un fatto violento non fornisca praticamente alcuna informazione sull’autore di quella violenza. Il termine deriva dal nuovo studio, uno dei più grandi del suo genere, qui o all’estero. La violenza contro le donne, si legge nello studio, è commessa da un’altra persona, di solito un uomo, di solito un uomo che una donna conosce, eppure quella violenza viene spesso riportata come se l’altra persona – fidanzato, marito, compagno – non esistesse. Si fa l’esempio di un titolo del Daily Telegraph: “Un’ascia fa a pezzi una famiglia”. E chi l’ha usata l’ascia per ammazzare Tara? (Fermo restando il garantismo e la correttezza di quanto riportato, si badi). E anche quando gli autori vengono citati, spiega ancora lo studio, i giornalisti tendono ad usare – consapevolmente o meno – una costruzione passiva delle frasi, oscurando o elidendo chi ha perpetrato la violenza e con quale grado di intenti. Insomma: di recente quantità e qualità della copertura mediatica della violenza contro donne e bambini sono migliorate, ma resta un notevole margine di lavoro da fare.
Andiamo in Brasile, dove nei giorni scorsi si è tenuta una manifestazione contro la violenza sulle donne a Copacabana, a Rio de Janeiro. Sulla spiaggia sono state lasciate 420 paia di slip: si tratta del numero delle donne che subiscono violenza nel paese ogni 72 ore. A fine maggio – ricorda Huffington Post – le immagini di una ragazza di 16 anni violentata da più di 30 uomini in una favela di Rio hanno avuto ampia diffusione sui social media, acuendo il dibattito su sessismo e violenza in Brasile. Hashtag come #EstuproNuncaMais (“Mai più uno stupro”) e #EstuproNaoTemJustificativa (“Lo stupro non può essere giustificato”) si sono rapidamente diffusi su Twitter. Nel 2014 sono stati registrati in Brasile 50mila stupri, ma gli esperti ritengono che i numeri descrivano solo grossolanamente la situazione. Secondo l’Istituto brasiliano di ricerca economica applicata , nel Paese avverrebbero fino a 500mila casi di violenza sessuale ogni anno.
Ne abbiamo parlato una settimana fa nel notiziario di Radio Bullets: la proposta di legge del Consiglio dell’ideologia islamica del Pakistan, un organo consultivo, per legalizzare la violenza domestica autorizzando le botte “leggere” alle mogli. Proposta che vede come risposta la protesta su Twitter. Violenza “in forma lieve” – hanno scritto gli integralisti musulmani nella loro proposta di 163 pagine – laddove, si legge su IoDonna, le donne si rifiutano di fare sesso, lavarsi dopo avere avuto rapporti e durante le mestruazioni, oppure anche solo se non indossano quello che desidera il marito. L’hashtag è #TryBeatingMeLightly (“Prova a picchiarmi in forma lieve”, e a farlo circolare sono i ritratti, in bianco e nero, del fotografo Fahhad Rajper. Ritratti di donne pachistane che hanno preso posizione contro la proposta di legge. Tweet come: “Prova a picchiarmi in modo leggero e vedrai che ti avvelenerò… con leggerezza!”. E ancora: “Sono il sole, toccami e ti brucerai come se fossi finito all’inferno. Sono la luce, proverai a fermarmi ma non ci riuscirai. Non potrai contenere la mia energia. Sono il tipo di donna da cui prendono il nome i tifoni. Ti sfido”. L’esperta di marketing digitale Shamilah Rashid scrive: “Prova a picchiarmi in modo leggero e farò in modo che sia l’ultima cosa che farai nella tua vita patetica”. E aggiunge: “Non voglio che le ragazze crescano pensando che se un uomo ti picchia allora vuol dire che ti ama. E che un giorno il suo comportamento migliorerà: no, la violenza di genere è inaccettabile. Sempre”. Il Pakistan, si legge su IoDonna, resta uno dei paesi dove la violenza di genere è pervasiva. Almeno 4.308 i casi di violenza denunciati da donne e ragazze nei primi sei mesi dell’anno.
La polizia della città pakistana di Lahore ha arrestato una donna sospettata di aver ucciso sua figlia per essersi sposata senza il consenso della famiglia. Lo riporta la BBC. La polizia dice che il corpo di Zeenat Rafiq mostra segni di torture. È stata cosparsa di benzina e data alle fiamme. È il terzo caso del genere in un mese in Pakistan, dove sono comuni gli attacchi contro le donne che vanno contro le regole conservatrici su amore e matrimonio. La scorsa settimana – ne abbiamo parlato – una giovane insegnante, Maria Sadaqat, è morta dopo che le avevano dato fuoco a Murree vicino a Islamabad per aver rifiutato una proposta di matrimonio.
Avete presente la locandina del prossimo film di “X-Men: Apocalypse”? È uscita la scorsa settimana, ne parla il Guardian: “Quando è uscito”, scrive Laura Bates, “è apparso chiaro che chi che aveva dato il via libera a quella pubblicità non era riuscito a notare qualcosa che sembra assolutamente ovvio a molti che lo guardano. Il manifesto raffigura palesemente la violenza contro le donne drammatizzata”. È la scena in cui Mystique (interpretata da Jennifer Lawrence) viene strangolata da Apocalypse (interpretato da Oscar Isaac), e lo slogan è: “Solo i forti sopravvivranno”. “C’è un grave problema quando uomini e donne alla 20th Century Fox pensano che la violenza casuale contro le donne possa essere il modo di commercializzare un film”, dice l’attrice Rose McGowan. Certo, è una scena del film ma “nella pubblicità non viene dato alcun contesto” e alla fine si tratta di una donna strangolata. Il fatto che nessuno l’abbia rimarcato è francamente stupido e offensivo”. Hollywood, si legge ancora sul Guardian, ha una lunga e frustrante storia di utilizzo di sessismo per vendere film. Su Tumblr c’è una pagina, The Headless women of Hollywood, Le donne senza cervello di Hollywood, che raccoglie esempi indicativi. La 20th Century Fox ha risposto alle critiche con una nota: “Non ci siamo accorti subito della connotazione sconvolgente di questa immagine in forma stampata”, aggiungendo che mai “perdonerebbe la violenza contro le donne”. Ma il fatto che non ci abbiano visto da soli alcun problema, si legge sul Guardian, la dice lunga.
Infine continuano anche questa settimana con il nostro appuntamento con le storie delle 35 donne che fanno parte della lista dei “100 eroi dell’informazione” pubblicata da Reporter senza frontiere. Oggi è la volta di Tongam Rina Una giornalista che non viene messa a tacere neppure dai proiettili – se n’è beccata una nel luglio 2012 nello stomaco, proiettile che le ha sfiorato il midollo spinale. Un uomo armato l’ha aspettata insieme a dei complici all’ingresso dell’Arunachal Times a Itanagar, capitale dello stato indiano di Arunachal Pradesh. Quasi 2 anni più tardi, il presunto autore dell’attentato è stato arrestato e successivamente rilasciato. Lei continua la sua lotta alla corruzione endemica e contro i 150 progetti di dighe in cantiere nella regione di confine.