La verità è che oggi non so da dove cominciare. Succede così un po’ ogni settimana in realtà: ci sono talmente tante storie di donne, di diritti negati, di successi e insuccessi, tragedie, ingiustizie e piccoli cambiamenti in tutto il mondo e spesso ti sembra che ognuno di questi frammenti sarebbe degno di essere raccontano.
L’8 marzo poi: sarebbe così bello poter dar voce a ogni singola persona che, a prescindere dal sesso o dal genere cui appartiene, sta lottando là fuori. Ci sono tanti strumenti per farlo. Questo non è uno di quelli. O meglio: lo è nella misura in cui si opera una scelta di temi e notizie significative. Notizie che contribuiscano, come vogliamo fare noi a Radio Bullets, a raccontare quello che spesso viene taciuto o che per pigrizia, regole del mercato sbagliate e tante altre ragioni, resta fuori dal chiacchiericcio troppo spesso cacofonico di questi nostri tempi.
E allora scelgo di raccontare un’impressione: il calendario è fatto di tanti appuntamenti e ricorrenze celebrate a livello nazionale. C’è l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, e c’è il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Di cosa si parla in queste due ricorrenze? Pensateci: alla fine praticamente sempre della stessa soffocante piaga, ovvero quella della violenza di genere. E delle morti che lascia sul campo.
Certo, storicamente nascono per ricordare occasioni diverse. Ne abbiamo parlato: il 25 novembre ricorda l’assassinio delle tre sorelle Mirabal avvenuto durante il regime domenicano di Rafael Leonidas Trujillo nel 1960. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha reso istituzionale questa giornata nel 1999, invitando governi, organizzazioni e media a sensibilizzare la società sulla violenza di genere. Diciamo che è un invito accolto con alterne fortune.
La Festa della Donna – leggo su Il Post, specializzato in questi pezzi di ricostruzione del significato delle ricorrenze: anzi “La Giornata internazionale della donna, non fu festeggiata sempre l’8 marzo, ma il 28 febbraio: era il 1909, e il Partito Socialista americano – esisteva – organizzò una manifestazione a favore del diritto di voto delle donne, che fu introdotto a livello nazionale negli Stati Uniti nel 1920. La Festa della donna è celebrata oggi con differenze culturali tra Paese e Paese (per esempio in Italia si regalano le mimose)” – il cui profumo in questo momento sta rallegrando il posto da dove registro. Google ha celebrato l’8 marzo con un doodle che mostra un video con 337 donne in 13 diversi paesi che raccontano cosa succederà, un giorno. Tra loro c’è Malala Yousafai, premio Nobel per la pace: “Un giorno”, dice, “vedremo andare a scuola ogni bambina”. Nessuna esclusa.
Negli anni, si legge ancora su Il Post, “si sono diffuse leggende e storie infondate sulla nascita della Festa della donna. Una delle più comuni sostiene che venne istituita per ricordare un incendio che uccise centinaia di operaie di una fabbrica di camicie a New York l’8 marzo 1908. Quest’incendio non avvenne mai, in realtà: ce ne fu uno il 25 marzo del 1911 nel quale morirono 140 persone, soprattutto donne immigrate italiane e dell’Europa dell’Est, ma non fu davvero all’origine della festività, anche se l’episodio divenne uno dei simboli della campagna in favore dei diritti delle operaie. Allo stesso modo, non è vero – come sostiene un’altra versione – che la Giornata internazionale della donna viene celebrata per ricordare la dura repressione di una manifestazione sindacale di operaie tessili organizzata sempre a New York nel 1857. La prima Festa della donna ad essere festeggiata un 8 marzo fu quella del 1914, forse perché quell’anno era una domenica”.
Dato il giusto posto alla Storia torno all mio punto: oggi mi sono occupata solo dell’8 marzo. Ho visto articoli su come la tecnologia aiuta le donne, sull’, parola misteriosa che vuol dire ridare alle donne il giusto posto di persone nella società e far loro acquisire la giusta confidenza, gli strumenti: dare loro insomma il potere che hanno e di cui hanno diritto, e che la cultura ha rosicchiato invece via un po’ in tutto il mondo. Articoli sul gender gap, il divario salariale, l’insostenibile leggerezza con cui le donne escono dal mercato del lavoro se putacaso fanno un figlio per poi tornare part-time o comunque con una carriera soffocata. Perché un figlio è ancora faccenda tutta femminile, inutile negarselo. Parlare davvero di tutto questo, in Italia e nel mondo, contribuirebbe ad allargare il dibattito a tutti gli aspetti che rendono ancora così profonda la differenza di genere. Considerando tutti i passaggi che costituiscono la spirale della violenza: intimidazione, isolamento, svalorizzazione, segregazione, violenza psicologica, violenza economica, aggressione fisica e sessuale, false riappacificazioni, ricatto dei figli, violenza, violenza, violenza F.no alla morte.
Ho visto, per carità, articoli su ognuna di queste fasi oggi. Sul sessismo che circonda tutti e ti segna da bambina e da bambino, sul fatto che in Europa le donne top manager siano esattamente la metà degli uomini. Ma ne parliamo solo oggi? Eh sì. E poi alla fine quella che piangiamo, l’8 marzo come il 25 novembre (e molti piangono ogni giorno) è la strage di femminicidi. NiUnaMas. Sono le donne uccise in quanto donne, mogli, compagne, madri, sorelle, cugine, oggetti inferiori. In tutto il mondo. Il femminicidio è la punta dell’iceberg, l’apice di quella spirale della violenza che dovrebbero conoscere in tanti, per capire cosa succede.
Ma combatteremo i femminicidi quando parleremo davvero anche di tutto il resto. Ogni giorno. Della violenza economica e psicologica. Di come combattere le condizioni che la permettono e che danno una mano alle donne a precipitare in un abisso con tutte le loro vite. Di come coinvolgere gli uomini in questa battaglia, perché è giusto, perché un Paese con diritti per tutti è un Paese più sano, perché altrimenti non andiamo da nessuna parte. E questo va fatto ai quattro angoli del Globo, mica ponendoci come crociati superiori ad altre culture. Perché non è che sempre possiamo guardarci allo specchio e dire: accidenti, ma noi siamo meglio.
Le femministe all’ascolto staranno rabbrividendo, i patriarcalisti sbadigliando e dando a me e quelle come me della nazifemminista (ho scoperto che è un epiteto che è stato rivolto a Emma Watson, attrice, artista e ambasciatrice della campagna #HeForShe). Tutto il resto dell’audience starà ciondolando sulla sedia.
O forse no. Mi è arrivata una mail dal Red Shoe Movement oggi, piattaforma e movimento per il famoso empowerment femminile. “Celebriamo le donne della nostra vita”, dice. Come? Con un complimento onesto prima di tutto. Vediamo. Ammiro onestamente e sinceramente il coraggio delle persone, quando lo vedo – e per fortuna mi capita sempre giù spesso. Oggi ho ammirato quello di Elisa, ieri quello di Giannina. E ancora: riconosci pubblicamente il lavoro di un collega/una collega. Uh. Tanti ce ne sarebbero. Ma la mia scelta cade su Donata, anche lei è stata speaker di Radio Bullets. E fa dannatamente bene il suo lavoro. E anche: ringrazia un uomo che supporta le ambizioni di carriera di una donna. Ecco: dopo tanto tempo, dopo tanto tormento e dopo essermi personalmente attirata pesanti macigni per colare a picco, voglio ringraziare Daniele, che nonostante tutto mi ha dimostrato senza neanche accorgersene che un uomo può essere dalla parte di una donna e dei suoi sogni, con estrema semplicità. Sinceramente e senza particolari ragioni. Non è l’unico: ce ne sono e ce ne saranno sempre di più.
Ecco: ricominciamo dalle basi, proprio per estirpare quelle morti. Cominciamo dallo scardinare – in modo propositivo – quegli elementi che portano ai femminicidi. In tutto il mondo. Noi siamo qui per raccontarlo.
Io sono Angela Gennaro e questa è Radio Bullets. Passo e chiudo.