La politica del figlio unico in Cina responsabile di più violenza contro le donne di qualsiasi altra politica ufficiale sulla faccia della Terra. Lo afferma l’attivista Reggie Littlejohn, presidente di Women’s Rights Without Frontiers. Le donne gasono costrette ad abortire e questi aborti sono spesso effettuati da persone che non sono dei veri medici. La politica del figlio unico, insieme alla preferenza culturale per i figli maschi, porta all’aborto dei feti femminili o all’abbandono delle bambine con tassi molto più alti rispetto ai maschi, provocando un grave squilibrio tra i sessi nella demografia del paese.”Non ha importanza se il governo cinese permette alla donna di avere un bambino o due bambini. Ciò che conta è che stanno dicendo alla gente quanti bambini possono avere, e che stanno applicando tale limite attraverso l’aborto forzato “, spiega l’attivista Littlejohn.
Nella Baraccopoli di Dharavi a Mumbai, in India, un’organizzazione non governativa sta aiutando gli abitanti degli slum nella lotta alla violenza contro le donne. La baraccopoli, si legge su firstpost.com, può essere schiacciante agli occhi di un visitatore: piena di odori, rumori e sguardi curiosi. Nessuno sa veramente quante persone vivano qui – forse 300.000, forse un milione. I residenti sono per lo più poveri migranti provenienti da diverse parti del paese, tutti alla ricerca di una vita e di un futuro migliore per i loro figli. Ma l’esistenza qui è stressante e talvolta violenta, soprattutto per le donne. La violenza domestica è dilagante, e dilagano gli assalti fuori per le strade di Dharavi. L’Ong Sneha sta cercando di cambiare la situazione insieme a chi vive qui. Un’app chiamata Eyewatch – ne abbiamo parlato in una delle prime puntate di questa rubrica su Radio Bullets – sta aiutando la comunità a documentare i casi di violenza e rende più facile l’aiuto alle vittime di abusi domestici. Ma Sneha, si legge ancora, non sta avendo successo grande alla tecnologia quanto a persone reali, uomini e donne che entrano in azione ogni volta che incontrano episodi di violenza. Uomini come il ventenne Munna Shaikh, che lavora in un piccolo negozio di abbigliamento con altri uomini. Quando ha visto quattro o cinque uomini molestare una donna per strada è intervenuto e ha iniziato a chiamare aiuto. «Sono scappati via”, dice Kamble. “Ho visto una donna in difficoltà, e ho sentito che dovevo darle una mano. Mia moglie è molto orgogliosa di me”, prosegue Kamble. “[Se] Sono in grado di cambiare il pensiero di un uomo sulle donne in favore di queste ultime, che significa che sono riuscito, perché quell’uomo a sua volta cambierà la mentalità di 10 uomini nei confronti di quella donna. Qualunque cosa stiate facendo, mi dice mia moglie, è davvero un ottimo lavoro, e questa nostra società ha tanto bisogno di un cambio di mentalità degli uomini verso le donne”.
A proposito di tecnologia, le donne in Cambogia stanno usando l’ossessione dei giovani con la tecnologia per cercare di modificare i comportamenti in una società in cui molti pensano che la violenza domestica sia normale. Lo riporta il Guardian con le parole di Dany Sun, attivista per i diritti delle donne: ma il progresso tecnologico, dice Sun, non ha portato con sè progressi sulla parità di genere. Il concetto della donna sottomessa ed inferiore all’uomo continua ad essere come sottomesse e inferiori agli uomini, continua ad essere alla base delle statistiche strazianti del paese sulla violenza contro le donne. “Fin dalla nascita siamo meno valorizzate degli uomini”, racconta al Guardian Sun, che ha 23 anni. “Siamo anche ancora tenute a seguire norme culturali, come quelle incluse nell’obsoleto Chbap Srey [il codice di condotta delle donne], che rafforzano il dominio maschile e stabiliscono che le donne devono essere tranquille e sottomesso. Allo stesso tempo, molte persone non si rendono conto che quello che stanno facendo è sbagliato, perché sono ignoranti, e spesso gli uomini e le donne pensano che la violenza domestica sia normale”. La Cambogia ha un alto tasso di stupri di gruppo, con molti giovani nelle aree urbane che lo considerano un’attività ricreativa. Sun è una delle tre donne che sono state sostenute dalla Fondazione Asia per lavorare sulla crescente sete di tecnologia mobile in Cambogia e usarla per contrastare la violenza contro le donne. Sun ha progettato Krousar Koumrou, un’app educativa per prevenire la violenza domestica. In Khmer, Krousar Koumrou significa modello familiare. Secondo uno studio del 2013 delle Nazioni Unite, il 25% delle donne in Cambogia ha dichiarato di aver subito violenza da parte del partner almeno una volta – violenza fisica, sessuale o psicologica. Lo stesso studio ha rilevato che tra gli uomini di età compresa tra i 18 e i 49 anni, per ogni cinque uomini intervistati uno di loro aveva violentata una donna almeno una volta, sia all’interno sia all’esterno di una relazione. Dopo la Papua Nuova Guinea, la Cambogia ha uno dei più alti tassi di stupro di gruppo nella regione. Lo studio ha trovato che circa 1.800 intervistati di sesso maschile, il 5,2%, ha confessato di aver partecipato a uno stupro di gruppo, conosciuto localmente come Bauk.
E passiamo negli Stati Uniti. Molti, scrive Allison Maloney sul NYT, credono che difendere il diritto di portare armi sia un segno distintivo della cultura “americana”. Ma un recente report evidenzia una scomoda verità: che le donne americane vengano uccise con un’arma da fuoco è un marchio di garanzia, come la difesa del diritto a possedere una pistola. Le probabilità di una donna americana di sperimentare violenza fisica di qualche forma per mano del suo partner maschile è più di una su tre, e quando una pistola è presente in una situazione di violenza domestica, aumenta il rischio di omicidio del 500 per cento. Più di tutte le altre armi combinate, le pistole sono state lo strumento prediletto per uccidere la partner negli ultimi 25 anni. Negli Stati Uniti, le donne sono 11 volte più a rischio di essere uccise da una pistola rispetto alle donne di altri paesi ad alto reddito. Il legame tra i tassi di violenza domestica e il numero di donne uccise da armi da fuoco non può essere una sorpresa, ma i dati – si legge ancora sul NYT – sono inqueietanti. Una relazione annuale del Violence Policy Center (VPC) mostra che per le 1.615 donne assassinate da uomini nel 2013 episodi vittima-aggressore, l’arma più comunemente utilizzata è una pistola. Sempre secondo il rapporto, quando gli Uomini uccidono le Donne, il 94 per cento di queste donne sono state uccise da qualcuno che conoscevano, il 62% intimamente. Secondo una ricerca di Everytown, in 35 stati la legge statale consente ai condannati per reati minori di violenza domestica (o soggetti a ordinanze restrittive) di acquistare e usare le armi, anche se la legge federale dice il contrario. Nel frattempo, la definizione federale di “violenza domestica” lascia alcune donne, come sorelle e fidanzate, non protette dai loro aggressori consentendo a questi ultimi di mantenere e comprare armi, anche dopo una condanna.