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Radio Bullets, #donnenelmondo del 2 febbraio 2016

abeer saady

Barbie bassa e formosa: 33 nuovi modelli e una notizia che ha conquistato anche la copertina del Time. I “neomaschilisti” del gruppo Il Ritorno dei Re si danno appuntamento a Sidney e in altre 43 città in tutto il mondo: per loro, lo stupro andrebbe legalizzato. Una ragazza turca di 20 anni è stata uccisa dal fidanzato tedesco a Colonia. Lo Zimbabwe dichiara illegali i matrimoni di ragazze minorenni. In India corsi di arti marziali e autodifesa nelle scuole. Sempre in India, violentata in ospedale una ragazza ricoverata per violenza sessuale. L’eroina dell’informazione della settimana è la giornalista egiziana Abeer Saady.

Ascolta la puntata.

Barbie bassa e formosa. Sono andata a cercare la storia della Barbie e ho scoperto un particolare che mi era onestamente ignoto, forse per la mia vocazione all’evitare bambole e dintorni e preferire Lego, pallone e Mio Mini Pony. Comunque: la prima Barbie, 57 anni fa, il 9 marzo 1959, aveva un costume zebrato e i capelli neri raccolti in una coda. Da allora è diventata biondo platino e ha rappresentato nell’immaginario comune lo stereotipo della ragazza perfetta, quasi anoressica, e sostanzialmente stupida. Ora però la Mattel vuole “cambiare verso”: Barbara Millicent Roberts, nome completo di Barbie, per la quale l’azienda nel tempo ha costruito una vera e propria biografia, amici, stirpe e fidanzato con cui è anche stata in crisi, non sarà più solo bionda e filiforme. La Mattel ha lanciato tre nuove versioni della bambola più famosa del mondo: quella “minuta”, quella “tall”, alta e quella “curvy”, ovvero formosa. Taglie alla misura di tutti, forme di più tipi e più “normali”. I nuovi modelli hanno anche diversi tipi di colore di pelle e acconciature e colori di capelli di ogni genere. “Siamo convinti di avere la responsabilità nei confronti di ragazze e genitori di riflettere una visione più ampia della bellezza”, dice Evelyn Mazzocco, vice presidente e global manager di Barbie. “Barbie riflette il mondo che le ragazze vedono intorno a loro”, aggiunge il chief operating officer Richard Dickson. “La sua capacità di evolvere e di crescere con i tempi pur rimanendo fedele al suo spirito, è fondamentale”. 33 sono i nuovi modelli a disposizione entro la fine dell’anno e prenotabili fin da ora, mentre la notizia ha già conquistato anche la copertina del Time.

Un gruppo online “neomaschilista” – i cui sostenitori credono che lo stupro dovrebbe essere legalizzato se “consumato” nella proprietà privata e che le donne sono biologicamente fatte per seguire gli ordini degli uomini – si riunirà per la prima volta off line a Sydney sabato prossimo, il 6 febbraio. Un incontro che avrà luogo anche in altre 43 sedi città tutto il mondo compresa Roma, di sera, davanti alla scalinata di Piazza di Spagna. Il leader del movimento “Return of Kings”, il Ritorno dei Re, è Daryush “Roosh” Valizadeh, 36enne del Maryland e scrittore antifemminista. Alla manifestazione, spiega, donne e uomini transgender e omosessuali non sono invitati. Il sito The Return of Kings esiste dal 2012 e ha oltre 12.500 fan su Facebook. “Il valore di una donna dipende in maniera significativa dalla sua fertilità e dalla sua bellezza”, si legge sul sito. “Quello di un uomo dalle sue risorse, dall’intelletto, dal carattere”. Vengono pubblicati articoli in cui si sostiene che le donne non dovrebbero votare, che lo stupro nella proprietà privata dovrebbe essere legalizzato, che le donne transgender che vanno a letto con uomini eterosessuali sono sostanzialmente delle stupratrici.

Una ragazza turca di 20 anni è stata uccisa dal suo fidanzato tedesco vicino alla sua casa di Colonia, in Germania. Gizem Peker, studentessa dell’università di Aachen, è stata accoltellata a morte dal suo fidanzato tedesco nel quartiere Ostheim. Secondo i media tedeschi la giovane donna si stava recando a casa dei genitori per il fine settimana quando il fidanzato, da cui si era recentemente separata, l’ha fermata e l’ha cominciata a colpire. Il 21enne, di cui la polizia non ha svelato l’identità, è stato fermato e messo in prigione, mentre il corpo della ragazza, la cui famiglia è originaria della città di Elazig, nella Turchia orientale, è stato riconsegnato ai genitori dopo l’autopsia. Secondo la polizia la vittima ha riportato ferite multiple nella parte superiore del corpo e l’attacco è avvenuto in una zona appartata. I dati del ministero tedesco della Famiglia parlano di una donna su sette vittima di violenza sessuale e di una donna su quattro di violenza domestica.

Il 21 gennaio scorso l’Alta corte dello Zimbabwe ha dichiarato illegali i matrimoni di ragazze di età inferiore ai 18 anni, abrogando una norma che finora aveva consentito a bambine anche di 12 anni di sposarsi col consenso dei genitori. Nel paese dell’Africa orientale un terzo delle ragazze si sposa prima dei 18 anni e il 4% prima dei 15, ha detto Tendai Biti, uno degli avvocati dei diritti umani che ha chiesto alla Corte costituzionale di modificare la legislazione. Da adesso “sotto i 18 anni non si potrà contrarre nessun tipo di matrimonio”, spiega Vernanda Ziyambi, uno dei nove giudici che ha approvato all’unanimità la legge. Biti e gli altri avvocati hanno rappresentato due donne, Loveness Mudzuru e Ruvimbo Tsopodzi, che si erano sposate all’età di 16 e 12 anni e che non volevano che altre bambine patissero un destino simile. “Ora aspettiamo che il Parlamento approvi severe sanzioni per garantire che la legge sia applicata”, ha detto Biti. “Sono veramente contenta di aver contribuito a rendere lo Zimbabwe un Paese più sicuro per le ragazze” ha detto Mudzuru che ha avuto due bambini prima dei 18 anni. Dietro al fenomeno delle spose bambine, si legge sul blog di Amnesty International sul Corriere della Sera, c’è la povertà: i genitori danno via le figlie in modo da avere meno bocche da sfamare e prendere, se c’è, la dote. “Le ragazze che si sposano presto fanno figli presto nella più totale povertà, è un circolo vizioso – ha raccontato Mudzuru alla Thomson Reuters Foundation, la mia vita è stata un inferno. E’ difficile allevare un figlio quando sei una bambina anche tu. Sarei dovuta andare a scuola, invece”. Nel mondo ogni anni 15 milioni di bambine vengono date in sposa. Nell’Africa sub-sahariana il 20% delle bambine subisce questo destino.

“Ho imparato lo Jiu Jitsu, che è una forma di auto-difesa, e so che un paio di altre ragazze hanno fatto lo stesso”, racconta Shreya Kukar, studentessa di New Delhi. “Sono assolutamente convinta che imparare queste cose renda più forti le donne. Solo il fatto di sapere cosa fare in caso di situazione spiacevole aiuta a sentirsi meglio, anche se solo mentalmente”. La violenza sessuale, si legge sull’International Business Times, è un grave problema in India. Spesso abbiamo parlato qui su Radio Bullets dello stupro di gruppo e della morte della studentessa Jyoti Singh nel 2012 a Delhi. Da allora sempre più donne e ragazze hanno intrapreso lezioni di arti marziali e autodifesa. Nel 2014 sono stati segnalati dalla polizia più di 36mila stupri, e la verità è che il numero effettivo rischia di essere significativamente più alto. Continuano ad essere segnalati anche attacchi brutali contro le ragazze, tanto che i governi statali hanno annunciato l’inserimento di corsi di autodifesa all’interno dei percorsi scolastici. I più critici hanno sottolineato che senza un intervento alla fonte del problema, tuttavia, senza una migliore azione di polizia e senza la garanzia di un sistema legale a vantaggio delle vittime, i tassi di violenza sessuale continueranno ad aumentare in India. La percentuale di condanne per stupro nel 2014 era solo del 28%: questo alimenta un senso di impunità. E proprio dall’India arriva in queste ore la notizia dell’ennesima violenza. Una ragazza di quindici anni, in ospedale in seguito a una violenza sessuale, ha raccontato di essere stata violentata di nuovo da una guardia di sicurezza dell’ospedale. La ragazza era stata ricoverata alcuni giorni prima dopo aver denunciato alla polizia di essere stata stuprata da un adolescente nel suo quartiere. L’imputato, un minorenne, è stato arrestato e mandato in una casa di custodia cautelare giovanile.

Infine continuano anche questa settimana con il nostro appuntamento con le storie delle 35 donne che fanno parte della lista dei “100 eroi dell’informazione” pubblicata da Reporter senza frontiere. Oggi è la volta di Abeer Saady. Ben nota al mondo dei media egiziani, scrive RSF, Abeer Saady scrive in arabo e in inglese sulle più importanti tematiche da 23 anni. Cha sia sul fronte libico o per le strade del Cairo, sembra essere dappertutto. Centinaia di giornalisti in tutto il Medio Oriente la conoscono, anche perché Abeer si occupa di formazione per i giornalisti che lavorano nelle aree ostili – come in Egitto, Siria, Libia, Tunisia, Yemen, Iraq, Turchia, Giordania, Barhein. Oltre ad essere vice direttrice del quotidiano Al-Akhbar, è stata eletta vice-presidente e componente del consiglio di amministrazione del sindacato egiziano dei giornalisti per tre mandati, e ne ha gestito il dipartimento di formazione, ospitando seminari e corsi di formazione. Ora però ne ha avuto abbastanza. Ha criticato pubblicamente il silenzio del sindacato di fronte a tutti gli arresti, le violenze e gli omicidi mirati di giornalisti, e ha annunciato la fine del suo coinvolgimento nell’organizzazione. Ha esortato i suoi colleghi a prendere in considerazione le conseguenze catastrofiche “del silenzio in risposta a questo attacco alla sicurezza, alla protezione e la dignità dei giornalisti”. Dodici giornalisti sono stati uccisi in Egitto dal 2011 e più di 20 sono attualmente in stato di detenzione.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 24 dicembre 2015

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India, il rilascio del più giovani degli stupratori di Jyoti. In Zambia uno stupratore ambasciatore per la lotta alla violenza di genere. Violenza contro le donne musulmane in tempi di terrorismo. Egitto, donne in piazza imbavagliate. El Salvador, le vittime invisibili sono le donne.

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India: il più giovane dei sei uomini condannati per lo stupro di gruppo di Nirbhaya del 2012 è stato liberato nei giorni scorsi, dopo che un tribunale ha rigettato l’estensione di tre anni della sua condanna. Sei persone, tra cui un minorenne, avevano aggredito e violentato la ventitreenne Jyoti Singh su un autobus in corsa a sud di Delhi. Nirbhaya, trasportata in un ospedale di Singapore, è morta 13 giorni dopo, il 29 dicembre 2012. In India, secondo la polizia, viene segnalato uno stupro ogni 20 minuti, e la sentenza ha scatenato il dibattito sulla violenza contro le donne e sulle pene per i colpevoli, in questo caso un giovane. “Il giovane criminale è stato consegnata a una ONG per il momento”, spiega a Reuters Ashok Verma, uno degli avvocati che lo rappresentano. La Commissione di Delhi per le donne ha presentato immediatamente un appello contro il rilascio alla corte superiore indiana.

Zambia. Su BuzzFeed, Jina Moore, corrispondente che si occupa di diritti delle donne, riporta il caso di Clifford Dimba, musicista noto come General Kanene, condannato a 15 anni di carcere per aver violentato una minorenne e poi non solo graziato dal presidente dello Zambia Edgar Lungu ma anche nominato ambasciatore nella lotta contro la violenza di genere. Apparentemente grazie ad una canzone scritta dal musicista in cui loda la presidenza e il partito. Secondo il Lusaka Times, Dimba aveva scontato un solo anno della sua condanna. Appena quattro giorni dopo la grazia e il rilascio, a luglio, Dimba avrebbe picchiato una delle sue mogli perché non voleva fare sesso. La polizia si è rifiutata di arrestarlo. Qualche mese dopo avrebbe picchiato anche un’altra donna, giustificando il pestaggio chiamandola “prostituta”. Questa volta sarebbe stato arrestato, seppure a diversi giorni di distanza dall’accaduto. Il caso è arrivato all’attenzione delle Nazioni Unite in questi giorni. “Questo scandaloso rilascio e la nomina ad ambasciatore per la lotta contro la violenza di genere non solo traumatizzano ancora una volta le vittime ma scoraggiano le altre vittime a denunciare reati simili”, dice Dubravka Šimonović, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la violenza contro le donne. “Questo dimostra chiaramente che l’impunità per questi reati genera ancora più violenza”, aggiunge Maud de Boer-Buquicchio, giurista e relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla vendita di bambini, la prostituzione e la pornografia infantili. Le due funzionarie hanno chiesto a Lungu a ritirare la nomina di Dimba ad ambasciatore e “garantire che non vi siano ulteriori indulti” per i condannati per violenza sessuale.

Violenza contro le donne musulmane: ne scrive Omise’eke Natasha Tinsley, professoressa associata di Studi Africani e della Diaspora africana presso l’Università del Texas a Austin e socia Public Voices per il Progetto OpEd. “Le donne di colore, le donne musulmane e tutte le donne hanno bisogno di capire che abbiamo una causa comune”, si legge sul Time. Una questione, spiega, che non viene analizzata abbastanza spesso: la violenza islamofobica contro le donne è una questione di femminismo nero. “Poche ore dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre scorso, in Europa e in Nord America si è scatenata la violenza islamofobica. Ma, al contrario della persecuzione degli uomini musulmani dopo l’11 settembre, ora la violenza sembra colpire soprattutto le donne”. Alcuni casi: a Londra, Yoshiyuki Shinohara, 81 anni, ha spinto – senza riuscire ad ucciderla – una donna musulmana che indossava l’hijab contro a un treno della metropolitana in arrivo. A New York, in una scuola media, una ragazza è stata aggredita da dei ragazzi che hanno provato a toglierle il velo chiamandola Isis mentre la picchiavano. A Toronto, una madre musulmana è stato picchiata e derubata dopo aver lasciato i figli a scuola, e nella stessa settimana due donne sono state aggredite in metropolitana da alcuni uomini che le chiamavano terroriste”. La violenza contro le donne musulmane, si legge ancora sul Time, si è acuita nuovamente dopo il massacro di San Bernardino, in California, in seguito alle immagini ampiamente diffuse di una delle persone che hanno sparato, Tashfeen Malik, con addosso l’hijab. Le donne di colore sono tra le musulmane prese di mira dalla violenza islamofobica. Lo testimonia il caso dell’artista Kameelah Rashid, una musulmana afro-americana in hijab costretta a scendere da un volo per Istanbul e interrogata per ore dall’FBI. “Non penso che ci sia una recrudescenza dell’islamofobia dopo gli attacchi di Parigi”, ha detto Rashid. “Penso che in realtà non sia mai scomparsa. Solo, sta diventando sempre più legittimata”. Più di 250mila donne musulmane nere vivono negli Stati Uniti, e nel mondo la popolazione musulmana femminile di colore è composta da decine di milioni di persone. La sola Nigeria conta 60 milioni di donne musulmane e la Guinea, il Niger e la Repubblica Democratica del Congo sono tra le nazioni africane sub-sahariane a maggioranza di popolazione musulmana. A dire il vero, scrive ancora la professoressa, molte musulmane nere non indossano l’hijab. Ma come Rashid, qualsiasi donna nera identificabile come musulmana ora è soggetta a manifestazioni di violenza. Questa violenza islamofobica contro le donne è parte di un clima sociale in cui la violenza contro donne e ragazze nere sembra sempre più essere tollerata”.

Egitto. Questa settimana al Cairo le donne sono scese in piazza con le bocche imbavagliate e tagli e lividi dipinti sui volti, per manifestare contro quella che definiscono “epidemia” di violenza di genere nel Paese. “Le donne subiscono ogni forma di violenza”, spiega una delle manifestanti a Euronews. “I mariti le picchiano per aver risposto male o per i loro comportamenti”. In Egitto ci sono diversi tipi di violenza, spiega un’altra donna, “la peggiore è quella di costringere le donne ad avere figli fino alla nascita di un maschio. Questo tipo di violenza, chiamata riproduzione obbligatoria, porta alla morte di un gran numero di donne”. Secondo le Nazioni Unite, il 35% delle donne e ragazze di tutto il mondo vive l’esperienza di una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Questi numeri, che ripetiamo spesso qui su Radio Bullets, sono in aumento in tutto il Medio Oriente e in Nord Africa, con l’escalation dei conflitti armati dopo la primavera araba. Sempre secondo i dati delle Nazioni Unite, il 99% delle donne egiziane è stata oggetto di violenza o molestie sessuali lo scorso anno, mentre circa 20.000 donne sono state violentate.

El Salvador è uno dei paesi più pericolosi al mondo. Ma gran parte del dibattito pubblico si concentra sulla violenza delle gang, ignorando gli elevati tassi di femminicidi e di donne abusate dai partner nel Paese. Migliaia di donne in El Salvador subiscono violenza fisica ed emotiva ogni anno per mano di mariti, familiari o amici, si legge su Broadly. El Salvador è il paese più pericoloso al mondo al di fuori di una zona di guerra: gli ultimi mesi hanno registrato ben 40 omicidi al giorno, con l’intensificarsi della violenza delle bande e il crimine organizzato. In un paese dove la violenza è così visibile, quella contro le donne rimane the elefante in the room, ovvero l’evidenza ovvia e appariscente che però tutti continuano a ignorare. Il problema è di grande portata, ma viene trascurato nel dibattito pubblico. El Salvador avrebbe il più alto tasso di femminicidi al mondo. I casi sono aumentati, alimentati da una cultura di impunità e macchiamo. A El Salvador, le donne occupano meno del 30 per cento delle posizioni politiche, nonostante i recenti sforzi per aumentare la rappresentanza femminile. In tutto il mondo, le donne sono sottorappresentate nelle cariche politiche, nel mondo accademico e nel settore privato.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 22 luglio 2015

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Dal Consiglio Ue la sollecitazione a superare il divario uomo-donna sulle pensioni. La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia perché non garantisce le coppie gay. La storia di Lacey Schwartz, filmmaker dalla doppia identità. Oltre 4mila donne potrebbero morire per le complicazioni del parto nei paesi colpiti dall’epidemia di Ebola. La polizia egiziana ha arrestato 84 persone per molestie sessuali. In Australia la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa: fermare l’escalation della violenza contro le donne nei conflitti in Medio Oriente.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 29 aprile 2015

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Ascolta la puntata del 29 aprile 2015.

Cominciamo con l’Egitto, dove il Primo Ministro Ibrahim Mehleb annuncia l’avvio di una strategia a livello nazionale contro la violenza sulle donne, definendola una delle priorità del suo esecutivo. Lo riporta l’agenzia Meda. Mehleb ha anche aggiunto che la violenza di genere colpisce la società egiziana nel suo complesso, e che rappresenta una violazione dei valori culturali e religiosi. Il premier ha incaricato il Consiglio Nazionale per le Donne di realizzare una strategia da mettere in atto nel quinquennio 2015-2020. Il consiglio si coordinerà con le organizzazioni e le associazioni per massimizzare gli sforzi per ridurre la violenza nelle comunità e nelle famiglie e per la riabilitazione delle vittime.

Il Pakistan sta assistendo in questi giorni a un preoccupante e angosciante aumento dei casi di aggressione con l’acido e di donne con volti sfigurati o che restano cieche per tutta la vita. Sono almeno 160 le donne che quest’anno nel Paese sono state vittima di attacchi del genere.

E passiamo a un pezzo di David McFadden per l’Associated Press in cui si racconta il problema della violenza sessuale contro le lesbiche in Giamaica. Quando Angeline Jackson e un’amica sono state violentate da uomini armati appena fuori dalla capitale della Giamaica, la polizia inizialmente è apparsa preoccupata, più che dell’assalto, del fatto che la vittima fosse lesbica. Angeline Jackson ha 24 anni ed è oggi è a capo dell’unica organizzazione giamaicana per donne lesbiche e bisessuali. “Il primo poliziotto con cui ho parlato mi ha detto che avrei dovuto cambiare stile di vita e tornare in Chiesa”, ricorda lei in un’intervista con AP in cui ripercorre la violenza subita nel 2009. Un’attitudine diffusa in tutta l’isola, dove gli attivisti per i diritti dei gay affermano che gli omosessuali subiscono discriminazione pervasiva e attacchi e che le persone LGBT sono anche vittima di brutali assalti sessuali allo scopo di “guarirle” e riconvertirle all’eterosessualità o quanto meno punirle per il fatto di non adeguarsi alle norme sociali. La Giamaica, riporta AP, ha una reputazione di vecchia data di intolleranza nei confronti dell’omosessualità maschile e di convinzione diffusa che si tratti di una perversione morale importata dall’estero. Ma ora lo stigma nei confronti delle persone omosessuali e dei crimini non denunciati che vedono come vittime di violenza donne lesbiche sta ricevendo una sempre maggiore attenzione. Con una popolazione di 3 milioni di abitanti, pochi sono i casi di violenza sessuale riportati agli attivisti LGBT. Il principale gruppo che si occupa di gay right nell’isola, il J-FLAG, ha documentato una serie di casi negli anni. Come spesso accade, anche quando le violenze vengono denunciate, le indagini si rivelano difficili nell’ambito del sistema giuridico giamaicano, inefficiente e sul punto di esplodere.

Andiamo in Nord Corea. I mali del Paese, racconta il Weekly Standard, sono ben noti: campi di prigionia politica, tra le 450.000 e i 2 milioni di persone che muoiono letteralmente di fame secondo un rapporto delle Nazioni Unite che ha dichiarato il governo nordcoreano responsabile di “crimini contro l’umanità, derivanti da ‘politiche stabilite al più alto livello dello Stato,'”, tra cui “sterminio, omicidio, riduzione in schiavitù, tortura, prigionia, stupri, aborti forzati e altre forme di violenza sessuale, persecuzione per motivi politici, religiosi, razziali e di genere, trasferimento forzato delle popolazioni, sparizione forzata di persone e l’atto disumano di provocare deliberatamente una fame prolungata”. Ciò che è meno noto, si sottolinea, è la condizione delle donne, soprattutto quelle ai più bassi livelli del sistema songbun, che categorizza i nordcoreani in base alla loro fedeltà al regime. Molte, a causa della povertà estrema, sono costrette a prostituirsi. A causa della indisponibilità di cure mediche e farmaci, alcune si rivolgono all’oppio nella falsa speranza di prevenire malattie sessualmente trasmissibili. Nei campi di prigionia, le donne poi sono coloro che subiscono le peggiori crudeltà. Migliaia fuggono in Cina come rifugiate e diventano preda dei trafficanti.

E finiamo con l’Iraq, dove le schiave sessuali yazidi rapite e violentate dai militanti dell’Isis vengono sottoposte a un intervento chirurgico per “ristabilire la loro verginità” nel timore che possano essere rifiutate dai futuri mariti. Molte ragazze catturate sono riuscite a fuggire, anche se un numero imprecisato rimane ancora imprigionato e in balia dei propri carcerieri. Chi è riuscita a scappare però, soprattutto nel Kurdistan iracheno, è ora ostracizzata da comunità e famiglia per la violenza sessuale subita. Rothna Begum, esperta di diritti delle donne nel Medio Oriente per Human Rights Watch, spiega all’Independent che i test di verginità sono oggi regolarmente in corso e anche le ragazze che, rapite, non sono state violentate, vengono sottoposte a queste procedure invasive al fine di ottenere la prova della verginità in vista del matrimonio.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 3 marzo 2015

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Salve a tutti da Angela Gennaro e benvenuti a #donnenelmondo su Radio Bullets.

Ascolta #donnenelmondo del 3 marzo 2015 su Radio Bullets.

Apriamo con il Nepal. Una donna di 30 anni è stata violentata sabato nel distretto di Dhanusha, nel Nepal Centrale, da un branco di uomini, una decina, che, secondo The Himalayan Times, dopo averla stuprata le hanno mutilato gli organi genitali. La donna, mamma di un bambino di undici anni con cui viveva, otto anni fa aveva abbandonato il marito, senza divorziare. Il branco è entrato in casa forzando la porta di ingresso, ha sottoposto la trentenne a ripetute violenze, ha mutilato i suoi genitali con un coltello e ha rubato gioielli e denaro prima di andarsene. La vittima e’ stata ricoverata in un ospedale e la polizia ha arrestato sette sospettati.

“Una brava ragazza non se ne va in giro alle nove di sera”. Parola di Mukesh Singh, autista di autobus che ha partecipato, nel dicembre del 2012 allo stupro di gruppo di Jyoti, una studentessa di 23 anni rea di trovarsi sul suo autobus a Delhi, in India. “Una ragazza è molto più responsabile di stupro di un ragazzo. Ragazzi e ragazze non sono uguali”, spiega in un’intervista alla BBC dal carcere. Singh ha abusato di Jyoti con un palo di metallo insieme ad altri uomini. La ragazza è morta due settimane dopo a causa delle ferite riportate e la sua morte ha scatenato un’ondata di repulsione e proteste in tutto il mondo. I lavori di casa e le pulizie sono per le ragazze, spiega l’uomo. Non certo andare in giro per discoteche e bar a fare cose sbagliate indossando i vestiti sbagliati. La percentuale di ragazze definite “buone” da Sigh? Il 20%.

Secondo le statistiche nazionali ufficiali, ogni giorno vengono stuprate 93 tra donne e ragazze in India.

Egitto, Il Cairo. La storia di Samah Hamdi è le storia di tutte quelle giovani egiziane che alla soglia dei 30 anni sono considerate donne a metà perché non ancora mogli e madri. Ne parla Zenab Ataalla su NOIDONNE. Leggiamolo insieme. “In Egitto, dopo gli studi superiori o universitari le donne hanno il dovere di sposarsi, e se questo non accade, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Nel tentativo di fare luce su questa questione, Samah Hamdi decide di realizzare un video con il tentativo di rompere con l’idea tradizionale, condivisa peraltro dalla maggioranza della società, che l’obiettivo principale di una donna sia quello di trovare marito e formare una famiglia. Intenzionata a protestare contro questi pregiudizi, decide così di indossare un abito da sposa e camminare per le strade della capitale egiziana, cercando di cogliere le reazioni delle persone che incontra per strada. Un racconto fatto di immagini che si snoda in tre giorni di riprese e fotografie volte ad immortalare la vita quotidiana della ragazza che esce di casa, cammina tra la gente, prende la metro ed arriva al lavoro, raccogliendo complimenti e a volte le derisioni di chi la incrocia.

E finiamo con la Turchia dove da un recente sondaggio dalla Direzione generale della sicurezza emerge che tutte le intervistate hanno dichiarato di essere state esposte a violenza sessuale o fisica dopo aver compiuto 15 anni. Una violenza operata da uomini vicini, partner, famigliari, famigliari del marito, parenti vari, persone a scuola o al lavoro. Il 7% delle donne ha aggiunto di aver subito violenza prima dei 15 anni. Tre donne su dieci con un livello di istruzione superiore hanno detto di essere state esposte a violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Anche le donne sposate sono vittime di violenza in Turchia. Il 39 per cento di loro è stata esposta a violenza fisica, mentre il 15 per cento è stata vittima di violenza sessuale. Il tasso di violenza emotiva e psicologica contro le donne sposate è ancora più elevato e arriva al 44 per cento. Quasi un quarto delle donne intervistate ha detto che il marito o il partner non consente loro di lavorare. Il 23 per cento racconta di essere stata costretta da marito o partner a lasciare il posto di lavoro.

E anche per oggi è tutto. Appuntamento alla prossima settimana con #donnenelmondo su Radio Bullets.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 27 gennaio 2015

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Un benvenuto a tutte e a tutti da Angela Gennaro con #donnenelmondo su Radio Bullets. Oggi è la giornata della memoria e vi raccontiamo subito la storia di Ravensbruck, il campo di concentramento femminile progettato da Hitler per eliminare le donne “non conformi”: prigioniere politiche, lesbiche, rom, prostitute, disabili e donne ritenute “inutili” dal regime. Ne parla “Vita” riprendendo un pezzo dell’Indipendent: dal maggio del 1939 al 30 aprile del 1945 sono passate da qui 130 mila donne di 20 nazioni diverse: 50mila sono morte. A scriverne è Sarah Helm, giornalista e autrice del libro “Ravensbrück: If this is a woman”: “Se questa è una donna”, evocando l’opera di Primo Levi “Se questo è un uomo”. Tante sono le ragioni per cui la storia di questo campo di concentramento non è mai balzata alle cronache. “Il campo era relativamente piccolo”, spiega Helm, “non rientrava nella narrativa dominante dell’olocausto, molti documenti poi sono stati distrutti, inoltre il lager è stato per anni nascosto dietro la cortina di ferro.” E poi c’è la riluttanza delle vittime a parlare. “Chi è riuscita a tornare a casa, spesso si vergognava per quello che aveva subito, come se fosse stata colpa sua. Parlando con diverse donne francesi mi è stato detto che l’unica domanda che veniva rivolta loro era se fossero state stuprate. Altre mi hanno raccontato che quando si decisero a parlare nessuno credette a quelle storie orribili”.

E passiamo alla 66esima Festa della Repubblica dell’India, con il presidente americano Barack Obama come ospite d’onore. In Pakistan si è colta l’occasione per portare sotto ai riflettori la questione dell’aumento dei casi di stupro in India, twittando con l’hashtag #RapePublicDay. Tweet ironici e amari – in India “lo stupro è lo sport nazionale”, si legge su Twitter – ma anche controversi giacché le violenze sono drammaticamente diffuse anche in Pakistan: secondo un report citato da First Post realizzato in base ad un sondaggio che ha coinvolto 1800 uomini pakistani, un terzo di loro pensa che violentare un bambino di strada non sia un crimine e che non sia neppure sbagliato. Lo stesso presidente Usa Barack Obama ha sollevato la questione dei diritti delle donne al termine della sua visita in India oggi. “Sappiamo per esperienza che le nazioni hanno più successo quando le loro donne hanno successo”, ha detto Obama.

In Australia Rosie Batty, una “madre coraggio”, è stata nominata “Australiana dell’anno”. Il figlio, l’undicenne Luke, è stato ucciso dal padre lo scorso anno e la battaglia di Rosie per parlare delle circostanze della sua morte ha riportato l’attenzione sulla violenza domestica. In Germania musulmani e moschee sono nel frattempo sempre più al centro di episodi di violenza islamofobica secondo la denuncia del presidente del Consiglio centrale dei musulmani tedeschi, Alman Mazyek, in un’intervista a Focus. Insulti ai musulmani e soprattutto alle donne che indossano il velo, e la violenza contro moschee e imam, si stanno trasformando in realtà quotidiana, racconta Mazyek.

In Egitto una corte d’appello ha condannato un medico a due anni e tre mesi di carcere per omicidio colposo per aver eseguito mutilazioni genitali che hanno portato alla morte di una ragazzina di 13 anni. Si tratta del primo caso che va a processo nel Paese. Il medico, Raslan Fadl, è stato inizialmente assolto nel 2013 per la morte di Sohair el-Batea, una bambina che viveva in un villaggio nella provincia di Dakahliya sul delta del Nilo. Al momento della sentenza il medico non era presente in aula e sembrerebbe aver fatto perdere le sue tracce. L’Egitto ha uno dei più alti tassi di mutilazione genitale femminile al mondo e la pratica è ancora molto diffusa nonostante sia stata resa illegale nel 2008. Il verdetto rappresenta “un precedente”, spiega all’Associated Press Phillipe Duamelle, rappresentante Unicef in Egitto, “e invia un segnale forte: le MGF, ancora colpiscono la vita di tante ragazze ogni anno, non sono più tollerate”. Un rapporto di Amnesty International denuncia che in Egitto la violenza contro le donne e le ragazze ha raggiunto un livello impressionante, sia tra le mura domestiche che in pubblico, comprese le aggressioni di gruppo e la tortura nei centri di detenzione. Recenti riforme di poco conto non hanno posto rimedio alle carenze legislative e un’impunità radicata continua ad alimentare una cultura di ordinaria violenza sessuale e di genere. “In ogni aspetto della loro vita, di fronte alle donne e alle ragazze egiziane si presenta, in onnipresente agguato, lo spettro della violenza fisica e sessuale”, spiega Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Tra le mura domestiche, molte sono sottoposte a vergognosi pestaggi, aggressioni e violenze da parte di mariti e parenti. In pubblico subiscono costanti molestie e aggressioni di gruppo, cui si aggiunge la violenza degli agenti statali”. Negli ultimi mesi, le autorità egiziane hanno annunciato alcune iniziative specifiche, come l’introduzione di una legge contro le molestie sessuali. Tuttavia, dice Amnesty, l’impegno assunto pubblicamente dal presidente Abdel Fattah al-Sisi di contrastare il fenomeno non si è ancora tradotto in una strategia coerente ed efficace. Le autorità continuano a non riconoscerne la dimensione e non assumono le misure necessarie per fermare concretamente la violenza contro le donne e la radicata discriminazione nei loro confronti.

In Italia nel frattempo un nuovo rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni registra un numero record di donne in arrivo dalla Nigeria: più di 1.200 donne nigeriane sono arrivate via mare nel nostro Paese nel 2014 a fronte delle 300 dell’anno precedente. “Le stime suggeriscono che ben l’80 per cento di questa donne sono destinate al mercato del sesso”, spiega ad Al Jazeera il portavoce dell’agenzia Flavio Di Giacomo. La Nigeria è uno dei peggiori otto paesi al mondo per traffico di esseri umani. Uno studio condotto dalla ONG italiana Be Free, che sostiene le vittime di tratta e di violenza di genere, ha rilevato che nel 2011 ci sono state 30.000 donne nigeriane costrette a prostituirsi. Molte non riescono a scappare a causa della pressione del debito contratto durante il loro viaggio per venire in Italia: debito che, secondo Francesca De Masi, co-autrice del rapporto di Be Free, può arrivare anche a 65mila euro. E per oggi è tutto. Appuntamento alla prossima settimana con #donnenelmondo su Radio Bullets.

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