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Radio Bullets, #donnenelmondo del 26 febbraio 2016 – #UnioniCivili

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Puntata speciale: vi raccontiamo come funziona – o non funziona – nel resto del mondo tra #unionicivili, matrimoni gay e diritti fondamentali. Per raccontarvi un po’ di più anche il nostro Paese.

Ascolta la puntata.

La mappa del mondo può descrivere attraverso colori e continenti quali sono i Paesi dove esistono le unioni civili. Ci sono Nazioni, pensate, dove la legge prevede addirittura il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Da dove vogliamo cominciare? Est o Ovest? Sud o Nord del globo? Cominciamo dal sud del mondo.

La Capitale più a sud del mondo è Wellington, in Nuova Zelanda, dove le unioni civili sono state approvate nel 2004 e l’adozione da parte di coppie omosessuali è legale dal 2007. Il 19 agosto 2013 il Corriere della Sera scrive: “Il «sì lo voglio» tra persone dello stesso sesso arriva in Nuova Zelanda. Il Paese ha celebrato domenica sera i sui primi matrimoni gay, diventando la quattordicesima nazione al mondo e la prima dell’Asia Pacifica ad autorizzare le unioni omosessuali”. E i vicini australiani? Stupirà scoprire che, dopo il prima via libera, il Governo australiano ha impugnato il provvedimento che le permetteva. Come si legge su Panorama, “L’Australia non riconosce i matrimoni gay, ma è pendente una proposta del partito Laburista che nel 2011 ha chiesto un referendum in materia, incontrando la netta opposizione del partito Liberale. Alcuni Stati australiani però autorizzano le unioni omosessuali. Nel 2010 la Tasmania è stato il primo Stato australiano a riconoscere legalmente le nozze celebrate in altre giurisdizioni, anche se solo de facto”. Dal 2012 – si legge ancora su La Stampa – lo Stato dà certificato di nulla osta per contrarre il matrimonio all’estero. Anche sulla violenza di genere l’Australia potrebbe fare di più, e ne abbiamo parlato qui a #donnenelmondo su Radio Bullets.

Ancora a sud. Pretoria? Alla fine del 2006 il Sudafrica diventa il primo Paese nel continente a legalizzare le unioni omosessuali attraverso “matrimonio” o “partenariato civile”. Le coppie possono anche adottare, i single adottano già da decenni. Il resto dei Paesi africani si divide tra omosessualità illegale, omosessualità punita con la pena di morte – in Mauritania, Nigeria, Somalia – omosessualità tollerata, omosessualità legale, omosessualità “depenalizzata”.

Sempre a sud, nell’America Latina. In Argentina il matrimonio gay esiste dal 2010: il 15 luglio di quell’anno La Stampa scriveva: “In Argentina, primo Paese in America Latina e decimo nel mondo, sono diventate legali le nozze persone dello stesso sesso, che, una volta sposate, potranno anche adottare bambini. Poco dopo le 4 (le nove in Italia) del mattino di oggi, dopo un dibattito di oltre 15 ore, infarcito di luoghi comuni e di grande tensione per l’incertezza del voto finale, il Senato con 33 voti favorevoli, 27 contrari, tre astensioni e nove assenti, ha trasformato in legge il progetto, già passato alla Camera in maggio. Nel Codice civile le parole “marito e moglie” saranno sostituite con “contraenti””. Dopo l’Argentina venne l’Uruguay. La legge che ha legalizzato le nozze gay è stata approvata nel 2013, mentre nei precedenti anni l’Uruguay aveva già legalizzato le unioni civili per gli omosessuali e l’adozione dei bambini da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso. Anche il Brasile dichiara legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso nel 2013. In Colombia e in Ecuador non esiste l’istituto delle nozze tra persone omosessuali, ma esistono le unioni civili. Bolivia, Perù e Cile non prevedono alcuna legalizzazioni delle unioni gay.

In Messico dal 2009 il matrimonio è legale nella capitale, Città del Messico e in 2 Stati della federazione. In Canada ci si sposa – tutti, nessuno escluso – dal lontano 2005. Negli Stati Uniti, si legge su Gay.it, è stata una sentenza, quella della Corte Suprema, ad obbligare di fatto tutti gli stati americani ad introdurre il matrimonio gay, rendendo gli States il 21º Paese al mondo a riconoscere il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Era il 26 giugno 2015 e la sentenza ha stabilito che negare la licenza matrimoniale a coppie omosessuali viola alcune clausole del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

E veniamo a questa parte del mondo. In ordine cronologico hanno approvato i matrimoni gay: nel 2000 i Paesi Bassi, il Belgio, nel 2003, la Spagna nel 2005. Come scriveva l’Ansa, in 10 anni “oltre 31mila matrimoni fra coppie omosessuali sono stati celebrati in Spagna da quando è entrata in vigore nel giugno 2005 l’allora contestata legge sui matrimoni gay, che provocò vibranti proteste della Chiesa cattolica e dell’opposizione conservatrice. I matrimoni omosessuali ora rappresentano il 2% dell’insieme delle unioni legali nel Paese”. Seguono Svezia e Norvegia nel 2009, Portogallo e Islanda nel 2010, la Danimarca, nel 2012, Franci, Inghilterra e Galles nel 2013, Lussemburgo e Scozia nel 2014 e nel 2015 arriva anche l’Irlanda. “Svolta storica in Irlanda, terra di antiche radici cattoliche, che è diventato il primo Paese al mondo a introdurre i matrimoni gay tramite un referendum. I voti favorevoli sono stati a livello nazionale il 62,1%, con punte di oltre il 70% nelle città come Dublino, mentre i ‘no’ si sono fermati al 37,9%”.

In Russia, Turchia, Ucraina, Lituania, Latvia, Polonia, Slovacchia, Romania, Moldova, Macedonia, Albania, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, Serbia, Kosovo, Bulgaria non esistono né matrimoni gay né tantomeno unioni civili. Esattamente come in Indonesia, Cina, India, Thailandia, Myanmar, Cambogia, Filippine, Nuova Guinea, Pakistan, Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Iran, Kazakistan, Yemen, Oman, Arabia Saudita, Iraq. Come si legge su Gay.it, “La Giustizia israeliana riconosce i matrimoni omosessuali contratti all’estero; è l’unico paese di tutto il continente asiatico a farlo. Tuttavia non è consentito alle coppie gay di sposarsi in territorio israeliano: non esistendo in Israele il matrimonio civile neppure per le coppie eterosessuali (tranne quando entrambi i coniugi sono non-ebrei), il matrimonio può esser formalmente eseguito solamente dalle autorità religiose. Tale restrizione impedisce non solo alle coppie gay di sposarsi, ma anche a tutte le coppie di fatto eterosessuali di essere riconosciute: qualsiasi persona desideri contrar un matrimonio non religioso deve recarsi al di fuori del paese”.

Chiudiamo con Italia e Grecia, gli unici Paesi di tutta l’Europa occidentale a non aver legiferato a riguardo. “Ci sfidiamo, insomma, per l’ambito ultimo posto”, dice lo scrittore Sebastiano Mauri che in questi giorni sta portando avanti una campagna che ha visto l’adesione di quasi 100mila persone e molti nomi famosi, da Jovanotti a Fedez, da Heather Parisi a Carlo Feltrinelli, per l’approvazione – naufragata – del disegno di legge Ciripà sulle Unioni Civili con stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner. Una sfida tuttora in corso: come si legge su La Stampa, i cugini ellenici hanno “recepito le normative europee in fatto di unioni civili, riconoscendo alle coppie non sposate e ai single il diritto di procreare mediante inseminazione artificiali. Le unioni civili regolare dal “Patto di libera convivenza” non includono le persone dello stesso sesso”.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 31 dicembre 2015

malala

Il 2015 di #nelmondodelledonne su Radio Bullets: Bill Cosby, Hillary Clinton, Angela Merkel, le donne al voto in Arabia Saudita, il drone e l’app dell’aborto, l’epidemia di violenza contro le transgender di colore negli Usa. E ancora i matrimoni gay, Malala, Ghoncheh Gravami in Iran, Carmen Guadalupe Vazquez e la parità di genere che passa attraverso la pari retribuzione e la genitorialità di nuovo condivisa. Buon anno!

Ascolta la puntata.

Il 2015 ha visto diventare la violenza contro le donne transgender di colore una vera e propria epidemia a livello nazionale negli Stati Uniti. Un rapporto della Human Rights Campaign (HRC) afferma che almeno 21 transgender sono state vittima di violenza mortale nell’anno che si sta chiudendo. Un numero che, si legge su Vibe, rende il 2015 un anno record con il più alto numero di omicidi di persone transgender. Secondo la HRC, sono state uccise più persone transgender nei primi sei mesi del 2015 rispetto a tutto il 2014. “Non conosciamo molti dettagli sulle esperienze delle vittime, ma la ricerca mostra che le persone transgender affrontano molestie e discriminazioni in numerosi contesti e per tutta la vita”, si legge. “Inoltre, sappiamo che le possibilità di affrontare discriminazioni, molestie e violenza aumentano in modo esponenziale per le donne transgender di colore, che affrontano anche razzismo e sessismo. Per molte donne transgender di colore , la minaccia della violenza è costante”. Secondo gli esperti, le ragioni di questi meccanismi risiedono nei diffusi atteggiamenti iper-maschilisti e nel loro intrecciarsi con mentalità religiose fondamentaliste.

Il 2015 è stato anche l’anno di Bill Cosby, al centro delle attenzioni della giustizia a decenni dai casi che lo avrebbero visto carnefice. È di queste ore la notizia dell’incriminazione dell’attore americano in Pennsylvania per una violenza sessuale che risale al 2004. La vittima è Andrea Constand e Cosby, sotto giuramento, aveva dichiarato di avere avuto con lei rapporti sessuali consenzienti. Ben diversa la versione della donna, che accusa l’attore oggi sessantottenne di averla drogata e violentata. All’epoca il procuratore aveva deciso di non procedere. La versione di Andrea descrive una dinamica simile a quella delle accuse che almeno altre 45 donne hanno mosso nel tempo a Cosby. A luglio il New York Magazine, rivista quindicinale di New York, aveva messo in copertina 35 donne che hanno accusato il comico Bill Cosby di stupro. Ora il protagonista dei Robinson, dopo l’incriminazione, ha consegnato il passaporto e pagato il 10 per cento della cauzione da un milione di dollari per rimanere in libertà in attesa del processo. La prima udienza è fissata per il 14 gennaio. L’incriminazione è la prima che porterà sotto processo Cosby. Molte delle altre accuse, risalenti anche a molti anni fa, sono ormai scadute.

Il 12 dicembre scorso le donne saudite hanno votato per la prima volta, si sono candidate e sono anche state elette. Il 2015 è stato il primo anno del “Drone dell’aborto”, un drone che ha volato sulla cattolica Polonia distribuendo pillole abortive e che anticipa iniziative analoghe on altri Paesi annunciate anche per il 2016. A condurre l’intera operazione è stata l’associazione no-profit Women on waves che da 10 anni difende il diritto delle donne a una scelta consapevole sulla maternità. E la Polonia fin dal 1993 ha ristretto fortemente la normativa sull’aborto. Sempre da Women on Waves è arrivata anche la prima app per l’aborto sicuro: l’applicazione fornisce informazioni per donne e operatori sanitari in tutto il mondo. (È possibile scaricare l’applicazione qui)

Nella classifica delle buone notizie del 2015 di Amnesty International le donne sono protagoniste. Donne come Carmen Guadalupe Vasquez, una giovane che nel 2007, a 18 anni, era stata condannata a 30 anni di carcere perché sospettata di aver abortito illegalmente. Carmen è stata scarcerata il 20 febbraio scorso. Un mese prima, il 22 gennaio, a seguito di una campagna di Amnesty e di altre organizzazioni per i diritti umani, l’Assemblea parlamentare aveva votato in favore della grazia. In Iran il 2 aprile Ghoncheh Ghavami, condannata il 2 novembre 2014 a un anno di carcere per il reato di “diffusione di propaganda contro il sistema”, poi rilasciata su cauzione, ha ottenuto la commutazione del residuo di condanna in una multa. Ghavami, 25 anni, era stata arrestata il 20 giugno 2014 per aver voluto assistere a una partita di pallavolo maschile. Il 22 maggio l’Irlanda è diventata il 19esimo paese al mondo e il primo attraverso un referendum ad aver introdotto nella legge l’uguaglianza dei matrimoni a prescindere dall’orientamento sessuale. “#LoveWins”, l’amore vince aveva twittato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama quando il 26 giugno, con cinque voti favorevoli e quattro contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione a tutti. Anche alle coppie gay, perché tutte le persone godono di “uguale dignità agli occhi della legge”. Una decisione vincolante per tutti i 50 Stati del Paese, anche se hanno fatto notizia il caso di “obiezione di coscienza” di Kim Davis, impiegata comunale del Kentucky, arrestata e poi rilasciata dopo essersi rifiutata di fornire le licenze per le nozze tra persone dello stesso sesso perché a suo dire “contro la volontà di Dio”. Il 2 dicembre Cristel Piña, 25 anni, madre di due figli, è stata rilasciata in Messico dopo aver trascorso oltre due anni in carcere. Era stata arrestata, ricorda ancora Amnesty, nel 2013 e sottoposta a stupro e ad altre torture affinché confessasse di aver realizzato filmati compromettenti a scopo di estorsione, accusa poi rivelatasi falsa.

Il 2015 è stato anche l’anno della candidatura di Hillary Clinton alla presidenza degli Stati Uniti. Era il 12 aprile e Hilary entrava nella storia come la prima donna nominata candidata presidente degli Stati Uniti. Per la prima volta in 29 anni, il Time nel 2015 ha messo poi una donna in copertina come “Persona dell’anno”: la cancelliera tedesca Angela Merkel. Nel 2015, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, la più giovane vincitrice del Nobel per la Pace Malala Yousafzai, ha inaugurato l’apertura di una scuola per giovani ragazze rifugiate siriane in Libano. Malala è sopravvissuta a una settimana di coma dopo essere stata sparata in Pakistan quando aveva solo 15 anni, nel 2012, dai Talebani a causa del suo attivismo per il diritto delle ragazze all’educazione. Ha vinto il Nobel l’anno scorso, a 17 anni. “Investite in libri, non in proiettili” è il suo appello ai leader del mondo.

Queste notizie compaiono nella classifica che la nonprofit statunitense Equal Rights Advocates ha stilato dei momenti top per le donne nel 2015. Una classifica in cui non manca la firma del California Fair Pay Act: “Con una mossa che speriamo sarà seguita da altri Stati e a livello federale – si legge – la California ha approvato nel 2015 il California Fair Pay Act: la più forte legge sulla parità di retribuzione nel Paese”. E ancora: nel 2015 alcune grandi aziende hanno ampliato il periodo retribuito di congedo parentale per motivi familiari per i lavoratori dipendenti. E ne hanno dato ampiamente notizia. Amazon, Netflix, Spotify, con queste decisioni hanno portato il tema all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale: perché – e questo è uno dei buoni propositi di chi parla per il 2016 – i figli si fanno in due e riequilibrare il concetto di genitorialità è un passaggio fondamentale per la parità di genere e la parità di carriere e realizzazione delle donne – e anche degli uomini.

E anche per oggi con #donnenelmondo è tutto. Per quest’anno è tutto. Io sono Angela Gennaro e vi do appuntamento alla prossima settimana, per un 2016 in cui, è un impegno, continueremo a raccontare e lavorare per l’informazione, la trasparenza e la parità di genere. Buon anno e continuate a seguirci sulla nostra pagina Facebook, su Twitter e Instagram con l’account @RadioBullets, sul nostro sito www.radiobullets.com. Iscrivetevi alla nostra newsletter e, se volete, sostenete il nostro lavoro anche nel 2016 al link qui. Passo e chiudo.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 12 dicembre 2015

uganda

Ascolta la puntata.

Maggiori sforzi per organizzare e finanziare i gruppi locali: è quello che serve, secondo ActionAid, in tema di lotta alla violenza di genere. Lo riporta il Guardian. Onyinyechi Okechukwu, communication specialist per ActionAid Nigeria, già fortemente coinvolta nella campagna Bring Back Our Girls per salvare le giovani studentesse cristiane rapite dai fondamentalisti di Boko Haram in Nigeria, spiega che solo un movimento femminile locale riuscirebbe a portare cambiamenti duraturi nel Paese. Quello della mancanza di fondi è un tema ricorrente e controverso per i gruppi locali per i diritti delle donne. L’anno scorso, scrive il Guardian, gli appelli all’aumento dei fondi per le organizzazioni stavano per essere resi vani nell’ambito del nuovo documento della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne: gli attivisti hanno dovuto lavorare sodo per mantenere il testo originario. I numeri pubblicati dalla Association for Women’s Rights in Development nel report 2013 – lavoro che porta l’evocativo titolo “Annaffiare le foglie, affamare le radici” – rilevano che le entrate medie per le 740 organizzazioni femminili analizzate ammontavano a 20,000 dollari — 13,000 – sterline – all’anno. Per i gruppi dell’Africa sub-Sahariana la media scende a poco più di 12,000 dollari l’anno. Agli inizi di quest’anno, ActionAid e la Women Human Rights Defenders International Coalition hanno accusato i governi di tagliare i fondi alle realtà che si occupano di donne e comunque di ostacolare il loro lavoro. Nell’ambito della Fearless campaign, ActionAid ha lanciato il suo appello per maggiori fondi da destinare ai gruppi locali, il cui ruolo nel combattere la violenza di genere è cruciale. L’organizzazione si rivolge anche al governo inglese che ha promesso di mettere donne e ragazze al centro dei suoi programmi di aiuto e delle sue politiche di sviluppo, affinché assuma un ruolo di leadership nell’opera di incoraggiamento per gli altri Paesi a portare avanti azioni pratiche per prevenire la violenza sulle donne. Dei 19 miliardi di sterline accantonati per perseguire a livello globale le disuguaglianze di genere tra il 2012 e il 2013, alle organizzazioni è andato meno di 270milioni. Gli appelli ai fondi diventeranno sempre più forti ora che gli Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a porre fine alla violenza contro donne e ragazze entro il 2030 nell’ambito dei sustainable development goals che entreranno in vigore il 1 gennaio 2016. “Molti governi e donor vogliono solo vedere risultati immediati rispetto all’impiego di fondi “, dice Okechukwu. “Per questo finanziano edifici scolastici o altri tipi di costruzione o centri salute. Ma quello che facciamo per i diritti delle donne ha a che fare con l’advocacy e con questioni legislative – e sono cose che richiedono tempo”. I governi “non possono dire che vogliono combattere la violenza di genere e poi cercare rapide vittorie”.

L’Algeria ha approvato una legge che criminalizza la violenza contro le donne. La legge, che modifica e completa il codice penale, introduce la nozione di molestia sessuale e punisce tutte le forme di aggressione, di violenza verbale, psicologica o maltrattamenti, in particolare per i casi recidivi. Si sottolinea così che la violenza può assumere diverse forme e che le aggressioni non lasciano necessariamente segni visibili. Questa nuova legislazione vuole in particolare difendere le donne dalle violenze dei congiunti e preservarne le risorse finanziarie dalle mire di coloro che sono ancora percepiti dalle società tradizionali come i capi-famiglia. Il testo dispone che chiunque usi violenza verso una persona congiunta rischia, a seconda della gravità, da uno a 20 anni di carcere, e l’ergastolo in caso di morte. Un altro articolo prevede dai sei mesi ai due anni di prigione per “chiunque eserciti costrizioni sulla propria coniuge per disporre dei suoi beni o delle sue risorse finanziarie”. Questo testo era stato adottato a marzo dall’Assemblea nazionale ma il suo blocco al Senato da parte dei conservatori aveva sollevato inquietudini nelle organizzazioni per i diritti umani, soprattutto a ottobre in seguito alla morte di una donna di 40 anni investita da una macchina dopo aver rifiutato delle avances. Dopo la sua adozione, i conservatori avevano definito questa legge un’intrusione nell’intimità della coppia, contraria ai valori dell’islam. I rappresentanti della società civile e delle ONG avevano dal canto loro criticato il fatto che il testo preveda lo stop dell’iter giudiziario in caso di “perdono” da parte della vittima. Secondo le cifre ufficiali, nei primi nove mesi del 2015 sono stati registrati nel Paese 7.375 casi di violenza. L’Algeria diventa ora il decimo Paese del Maghreb – dopo la Tunisia – a criminalizzare la violenza contro le donne. Un progetto di legge su questo tema è allo studio in Marocco ma è oggetto di grande dibattito.

Cincinnati è la seconda città negli Stati Uniti dopo Washington DC a bannare le terapie per la “conversione” dei gay minorenni. Un risultato ottenuto a un anno dalla morte di Leelah Alcorn, una trans sottoposta dai suoi genitori al “trattamento” e morta suicida il 28 dicembre scorso a 17 anni in Ohio. La pratica è proibita anche in California, Illinois, New Jersey e Oregon.

“Sono caduto e l’ho penetrata per sbaglio”. È la difesa dall’accusa di stupro di Ehsan Abdulaziz, proprietario immobiliare di 46 anni. Nell’agosto del 2014 era uscito per una serata e aveva incontrato una giovane donna e una sua amica di vecchia data in un nightclub londinese. Dopo aver bevuto numerosi cocktail, si legge sull’Huffington Post, si era offerto di accompagnare con la propria Aston Martin le due ragazze nel suo appartamento. Qui, secondo Abdulaziz, l’amica era andata a dormire in una camera mentre la diciottenne l’aveva seguito nella sua camera da letto. Da questo momento in poi, però, le versioni divergono notevolmente. La vittima sostiene di essersi svegliata nel cuore della notte mentre l’uomo tentava di penetrarla contro la sua volontà. A quel punto si è alzata sconvolta, ha svegliato l’amica e ha chiamato la polizia. Abdulaziz, invece, ha cambiato spesso la narrazione dei fatti di quella notte: nel primo interrogatorio ha sostenuto che la ragazza lo aveva attirato a sé permettendogli di mettere le mani tra le sue gambe. Ma quando dalle analisi di laboratorio era emerso che nel corpo della diciottenne c’era traccia del suo sperma, il milionario è stato nuovamente interrogato. E qui è spuntato il racconto della caduta accidentale: “La ragazza ha portato le mie mani sulla sua vagina. Così sono caduto sopra di lei e il pene è entrato”.

Pretoria. La rappresentante delle Nazioni Unite Dubravka Simonovic in visita in Sud Africa per analizzare la situazione della violenza contro donne e bambini, rivela che, secondo i dati da lei raccolti al momento, sta crescendo la mancanza di sensibilità nei confronti dei crimini perpetrati contro queste categorie vulnerabili. Lo riporta Eyewitness News. Di questi giorni la notizia dell’uccisione di due ragazze adolescenti e di un neonato a Katlehong. Simonovic spiega che la violenza contro le donne rappresenta un fenomeno socialmente accettato in Sud Africa e che la violenza ereditata dall’apartheid risuona ancora nella società di oggi. “Il Sudafrica è ancora una democrazia giovane e le cicatrici sono ben vive nel suo tessuto sociale”.

Uganda. L’HIV peggiora la violenza contro le donne, e la trasmissione del virus ne è causa e conseguenza. Studi indicano che la vulnerabilità all’HIV tra le donne che hanno subito violenza sessuale può essere fino a tre volte superiore rispetto a chi non l’ha subita. Secondo Joyce Tibayijuka, dalla Comunità Nazionale delle donne che vivono con l’HIV/AIDS in Uganda, le donne devono affrontare la violenza sessuale soprattutto quando il loro partner è sieropositivo e loro non lo sono. Diventano spesso vittima di violenza da parte dei partner sieropositivi, quindi. Kihumuro Apuuli, direttore generale della Commissione AIDS in Uganda, spiega che l’uso del preservativo nelle coppie HIV-discordanti (quelle dove solo uno dei due partner è malato e l’altro no) è molto basso. Che spesso gli uomini non vogliono usare il profilattico e che questo diventa spesso il prologo di una violenza sessuale. La violenza del partner può aumentare il rischio di infezione da HIV di circa il 50 per cento. Vi è anche prova che la violenza mina l’accesso alle cure, all’assistenza e ai servizi di sostegno per le donne che vivono con l’HIV. In Uganda, il 60 per cento delle nuove infezioni da HIV si verificano in rapporti tra coppie HIV-discordanti.

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