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Radio Bullets, #donnenelmondo dell’19 febbraio 2016

Shamma-Al-Mazrui

Siria, MSF: sono 154.647 i feriti e 7.009 le vittime di guerra documentate in quelle strutture nel solo 2015, di cui il 30-40% sono donne e bambini. Zika, il Papa: contraccezione sì, aborto mai. Un centro di controllo per monitorare la violenza contro le donne durante le elezioni in Uganda. Dal carnevale di Rio al “silenziamento” della gestione maschile del corpo delle donne in Brasile. Oltre la metà della popolazione femminile adolescente in Pakistan e in India ha nozioni distorte di violenza domestica. E pensa sia normale. Le stazioni di polizia in India diventano più a misura di donna. Un terzo dei componenti del governo degli Emirati Arabi Uniti è donna. Torneo di beach volley in Iran: ma le donne non possono (ancora) entrare. Le molestie sessuali e altre forme di violenza sessuale in spazi pubblici sono episodi che tutti i giorni coinvolgono donne e ragazze in tutto il mondo. Honduras, una donna uccisa ogni 16 ore. Khadija Ismayilova è l’eroina dell’informazione della settimana, dalla classifica di RSF. 

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Siria. 1,9 milioni di persone vivono sotto assedio, le frontiere sono chiuse ai rifugiati e dilagano i bombardamenti contro strutture mediche e aree densamente abitate. È l’allarme lanciato dall’organizzazione medico-umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere, con un appello specifico agli stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, che sono parte attiva del conflitto: devono rispettare le risoluzioni da loro stessi approvate per fermare il massacro e garantire che i loro alleati assicurino la dovuta protezione ai civili ed evitino i combattimenti in aree civili. MSF presenta l’impatto del conflitto contro i civili attraverso i dati raccolti in 70 fra gli ospedali e strutture sanitarie supportate dall’organizzazione in Siria nordoccidentale, occidentale e centrale. Nel complesso, sono 154.647 i feriti e 7.009 le vittime di guerra documentate in quelle strutture nel solo 2015, di cui il 30-40% sono donne e bambini. Il rapporto denuncia che 63 ospedali e strutture sanitarie supportate da MSF sono state attaccate o bombardate in 94 diverse occasioni nel solo 2015. 12 strutture sono state distrutte e 23 membri dello staff sono rimasti uccisi.

“Alle donne esposte al virus Zika potrebbe essere permesso di usare contraccettivi per evitare le gravidanze”. Lo ha suggerito Papa Francesco nel corso della lunga conferenza stampa che come di consueto ha tenuto sul volo papale, questa volta di ritorno dal Messico. “Ma l’aborto, quello resta il “male assoluto”, un crimine”. E non dovrebbe mai essere permesso, nemmeno per quelle donne che aspettano un bambino con seri danni cerebrali causati dal virus Zika.

Una donna brasiliana vestita come l’artista messicana e icona femminista Frida Kahlo apre una lattina di birra. Altre mostrano cartelli con slogan come “Let me samba in peace”. Questo, si legge su Vice News, è stato il carnevale di Rio de Janeiro. Mulheres Rodadas – un termine slang che significa “donne che sono già state in giro” – è un gruppo nato poco più di un anno fa con l’obiettivo di combattere quello che viene definito un certo tipo di “silenziamento”, in Brasile, della discriminazione sessuale che sembra celebrare la libertà femminile ma che spesso significa tutt’altro. “La gente dice che in Brasile le donne si vestono come vogliono”, spiega Debora Thomé, “Quindi come si può volere più libertà? Ma diciamo che è come gli uomini vogliono che le donne si comportino. Una donna si può mettere quello che vuole, ma poi diventa vittima di violenza a causa di quello che indossa”. Un nuovo movimento femminista insomma, che sta crescendo in un Paese dove l’aborto è ancora illegale ad eccezione dei casi di stupro, quando la vita della madre è in pericolo, quando nel feto si riscontra una malformazione che porta alla sicura morte del bambino e nota come anencefalia. Il movimento nasce anche in risposta all’emendamento proposto da Eduardo Cunha, deputato e leader del potente blocco cristiano evangelico del Congresso. Che ha presentato un emendamento per cui per accedere all’aborto le vittime di stupro devono obbligatoriamente denunciare il crimine e sottoporsi ad esame medico forense. Di lui, le femministe brasiliane dicono: “Oh no, Eduardo Cunha vuole controllar era tua vagina”. In Brasile, spiega ancora Thomé, gli uomini sentono di avere “il diritto di controllare il corpo delle donne. Pensate a quell’emendamento”. Solo il 10% dei deputati del congresso è donna: quindi in pratica gli uomini stanno decidendo se e quando le donne possono abortire”.

Giappone: videogiochi, sesso e violenza. RapeLay, dove si gioca nei panni di un predatore sessuale, è il caso estremo, ma molti sono i giochi e i cartoni animati giapponesi che hanno un rapporto “ controverso” con questo tipo di contenuti. Alcuni provvedimenti sono già stati presi, ma ora il Comitato CEDAW (Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne) chiede di più. Ed “esorta vivamente il Giappone a vietare la vendita di videogiochi o fumetti che abbiano come contenuto stupri e violenza sessuale contro le donne che così normalizzano e promuovono la violenza sessuale contro le donne e le ragazze”.

Un centro di controllo per monitorare la violenza contro le donne durante le elezioni. Accade a Kampala, in Uganda. Una decisione che arriva dopo che gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per l’atmosfera elettorale deteriorata che si stava creando in vista delle elezioni del 18 febbraio. La violenza sotto elezioni è un elemento che si ripete in molti Paesi africani, innescata da tensioni politiche o etniche o da processi elettorali viziati: e donne e bambini sono le persone che hanno più probabilità di subirla. Jessica Nkuuhe, coordinatrice nazionale dell’Uganda’s Women Situation Room, spiega che il centro di controllo lavorerà fino al 20 febbraio. In passato, spiega Nkuuhe, non ci sono state segnalazioni di violenze elettorali sulle donne in Uganda, ma elettrici e candidate hanno affrontato diversi tipi di violenza psicologica, e hanno fatto fronte agli sforzi portati avanti per impedire loro di votare. “Sono stati riportati anche episodi di violenza domestica derivanti da differenze nella scelta del partito o dei candidati”, spiega a Reuters. Yowecri Museveni, presidente dell’Uganda, ha governato il Paese per tre decenni da quando è salito al potere dopo una guerra-guerriglia durata cinque anni. Anche in queste elezioni Museveni è il favorito e potrebbe vincere un mandato di altri cinque anni, ma questa è per lui l’elezione più difficile. Il mese scorso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato che vi erano state numerose segnalazioni di “eccessiva forza, ostruzionismo, dispersione di manifestazioni dell’opposizione, intimidazioni e arresti di giornalisti” da parte della polizia, in un clima elettorale definito “di paura e intimidazione”. Patricia Munaabi Babiiha, direttrice esecutiva del Forum for Women in Democracy, spiega che la sala di controllo impiega donne e giovani e coinvolge anche rappresentanti della polizia e funzionari della Commissione elettorale. Sono stati formate 450 persone, tra donne e giovani, distribuiti in 15 distretti considerati punti cruciali per l’osservazione e il monitoraggio delle elezioni da una prospettiva di genere e di violenza. Sono stati formati anche 10 giovani volontari, operatori del call center che riceve e registra le segnalazioni e fa partire gli interventi in caso di necessità. Quello della situation room di genere è un progetto realizzato dall’Angie Brooks International Center (ABIC) durante le elezioni in Liberia del 2011 e poi replicato con successo durante le elezioni in Senegal, Sierra Leone, Nigeria e Kenya.

Da un recente rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione emerge che oltre la metà della popolazione femminile adolescente in Pakistan e in India possiede contorte e male informate nozioni sulla violenza domestica. Lo studio ha rilevato che il 53 per cento delle ragazze in entrambi i paesi ritengono che la violenza domestica sia giustificata. Secondo i dati raccolti in India e in altri Paesi in via di sviluppo, un’alta percentuale di adolescenti maschi ha la stessa convinzione. Gli atteggiamenti regressivi sui ruoli di genere si sono infiltrati ormai così profondamente nella cultura e nella società che spesso le vittime, reali o potenziali, di violenza domestica e di violenza contro le donne, ritengono che non ci sia nulla di sbagliato in quei comportamenti. C’è una tendenza a incolpare le vittime di violenza per la loro situazione, mentre l’autore viene del tutto assolto da qualsiasi responsabilità. La struttura sociale patriarcale, si legge su The Express Tribune, la diffusa disuguaglianza di genere, contorte nozioni del concetto di onore, un quadro giuridico debole e un generale aumento della violenza nella società hanno contribuito al fatto che la violenza domestica sia considerata come una componente accettabile dell’esistenza. Una sindrome di Stoccolma a livello di società, si legge ancora, per cui nelle vittime si sviluppano sentimenti di simpatia nei confronti dei rapitori o dei violenti. Questa mentalità prepara le giovani donne a una violenza che dura per tutta la vita. I loro figli saranno esposti per la stessa violenza e da grandi alle stesse credenze.

Le stazioni di polizia in India diventano più a misura di donna. Il governo indiano ha emanato specifiche direttive affinché le stazioni di polizia raccolgano le denunce di violenza sulle donne e venga fatto un lavoro in termini di istruzione e formazione tra le forze di polizia. Un portavoce del governo ha fatto sapere che si stanno portando avanti molteplici sforzi per l’empowerment delle donne, cominciando dalle forze dell’ordine e da quelle stazioni di polizia troppo al maschile. Il progetto è anche quello di aumentare del 33% la presenza femminile all’interno delle forze di polizia. Al momento è del 6-7%.

Un terzo dei componenti del governo degli Emirati Arabi Uniti è donna. Le nuove nomine includono cinque donne, portando il numero totale della rappresentanza femminile al numero record di otto donne su un totale di 29 membri di gabinetto. Shamma al Mazrui, 22enne e ministra per gli Affari Giovanili, è la più giovane ministra del mondo; sarà anche a capo del Consiglio Nazionale Giovanile degli Emirati.

È cominciato in questi giorni il primo torneo di beach volley mai ospitato in Iran. Nonostante le ripetute promesse della Federazione internazionale di pallavolo, alle donne viene ancora negato l’ingresso alle partite, tra le intimidazioni dei funzionari locali. Human Right Watch ha lanciato una campagna su Twitter e Facebook per chiedere alla Federazione di mantenere le sue promesse. L’hashtag è #Watch4Women.

Che si tratti di aree urbane o rurali, di paesi sviluppati o in via di sviluppo, le molestie sessuali e altre forme di violenza sessuale in spazi pubblici sono episodi che tutti i giorni coinvolgono donne e ragazze in tutto il mondo. Come dichiarato da UN Women – scrive Angelique Moss su The Diplomat, donne e ragazze temono e sperimentano differenti forme di violenza sessuale negli spazi pubblici, dagli ammiccamenti alle palpate, stupri e femminicidi. Accade dappertutto: le donne che vivono in Paesi e regioni “avanzati” non sono esenti dalle molestie in pubblico. Il 20% delle donne dichiara di aver vissuto una di queste esperienze in pubblico, secondo un sondaggio condotto nel 2014 dalla no-profit statunitense Stop Street Harrassment. Nella sola Londra, il 43% delle giovani dichiara di aver subito aggressioni e molestie nel 2012. Questo vuol dire per le donne, semplicemente, restrizione delle libertà. In risposta a questi dati UN Women ha lanciato l’iniziativa Safe Cities Global Initiative, con due principali filoni: Safe Cities Free of Violence against Women and Girls, attivo in Ecuador, Egitto, India, Papua Nuova Guinea e Rwanda. L’altro è Safe and Sustainable Cities for All, programma congiunto portato avanti con UNICEF e UN-Habitat. È attivo in Brasile, Costa Rica, Honduras, Kenya, Libano, Marocco, Filippine e Tajikistan.

L’Honduras ha tra i più alti tassi di femminicidi nel mondo, e come spesso accade l’impunità dilagante perpetra e alimenta la violenza di genere con una donna uccisa ogni 16 ore. “Io sono una donna e vivere senza violenza è un mio diritto” è la nuova campagna lanciata dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dall Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite con il sostegno del governo honduregno per ridurre i tassi scioccanti di violenza contro le donne attraverso azioni di consapevolezza. In Honduras il tasso di femminicidi violenti è aumentato di oltre il 260 per cento tra il 2005 e il 2013. Nel solo 2014, almeno 513 donne sono state vittime di femminicidio in Honduras, secondo le statistiche CEPAL. Secondo il Centro per i diritti della donna del Paese, nel 2015 una donna è stata uccisa ogni 16 ore. L’Honduras è anche considerato tra i primi 10 paesi al mondo con il più alto tasso di impunità. Secondo la Commissione interamericana per i diritti umani, l’impunità ha un impatto particolarmente pesante sulle donne e “alimenta l’accettazione sociale del fenomeno della violenza contro le donne”.

Infine continuano anche questa settimana con il nostro appuntamento con le storie delle 35 donne che fanno parte dellalista dei “100 eroi dell’informazione” pubblicata da Reporter senza frontiere. Oggi è la volta di Khadija IsmayilovaQuando è stata condannata l’anno scorso a lavorare come spazzina per le strade per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata, la giornalista d’inchiesta Khadija Ismayilova ha risposto con un sorriso che avrebbe “ripulito questo paese dalla sporcizia”: una cosa a cui era abituata. Ismayilova è noto per le sue indagini approfondite sulla corruzione tra i più alti livelli di governo. Incluso il clan presidenziale che gestisce i settori più redditizi dell’economia e i suoi investimenti in paradisi fiscali. Ex capa della sezione dell’Azerbaijan di Radio Free Europe/Radio Liberty, lavora per una serie di organi di informazione nonché per il consorzio internazionale di giornalismo investigativo Organized Crime and Corruption Reporting Project. Corre considerevoli rischi a livello personale. Nel 2012 e nel 2013 è stata bersaglio di una campagna diffamatoria e di un tentativo di ricatto con scene di un video girato da una telecamera nascosta nella sua camera da letto. Nel febbraio di quest’anno un cambiamento di tattica ha portato ad accusarla questa volta di spionaggio. Secondo il pubblico ministero che l’ha interrogata per tre giorni di seguito, è stata accusata di aver trasmesso segreti di stato al Congresso degli Stati Uniti. Ma ci vuole ben altro per convincerla a smettere di portare avanti le sue inchieste.

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Radio Bullets, #donnenelmondo dell’11 novembre 2015

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Myanmar. “I tempi sono cambiati, la gente è cambiata”: cosi’, la leader del partito birmano ‘Lega nazionale per la democrazia’ (Nld), Aung San Suu Kyi, attivista per i diritti umani nel suo paese, la Birmania ovvero il Myanmar, oppresso da una dura dittatura militare dopo il colpo di stato del 1962, spiega alla Bbc perchè crede che i ‘generali’ rispetteranno i risultati delle elezioni di domenica scorsa e le permetteranno di formare un nuovo governo. “Trovo – si legge sull’ANSA – che la gente adesso sia molto più politicizzata non solo rispetto al 1990, ma molto più politicizzata rispetto al 2012, quando abbiamo fatto la campagna elettorale per le elezioni suppletive”. Da AskaNews ecco il profilo di San Suu Kyi, premio nobel per la pace nel 1991: Dopo l’uccisione del padre, il generale Aung San, assassinato quando lei aveva due anni nel 1947, la prima parte della sua vita s’è svolta in esilio. Prima in India, poi in Gran Bretagna. Ha studiato a Oxford dove si è sposata con un professore specialista di Tibet, Michael Aris, morto senza che potesse ricevere l’ultimo saluto dalla moglie nel 1999 per un cancro. Da Aris ha avuto due figli. La decisione di tornare in Birmania è del 1988. Volata al capezzale della madre, si ritrovò nel pieno di una rivolta contro la giunta militare repressa nel sangue. Dopo una prima apertura, si legge ancora su AskaNews, con il permesso di costituire la Lega nazionale per la democrazia, il regime reagì mettendola agli arresti domiciliari. Ciononostante, Aung San Suu Kyi riuscì a vincere le elezioni del 1990, ma la giunta militare non riconobbe i risultati. Iniziò così un periodo lungo di detenzione domiciliare, con l’assenza che contribuiva a renderla un mito ancor più della presenza. Torna definitivamente libera nel 2010. Due anni dopo viene eletta in un parlamento che, per un quarto, è nominato direttamente dei militari.

Australia. Combattere la violenza sulle donne? Si può. Come combattere il tabagismo o introdurre l’utilizzo delle cinture di sicurezza. In Australia, si legge su The Chronicle – è partita la campagna Change The Story: una mobilitazione lanciata dai gruppi antiviolenza Our Watch, VicHealth e dalla National Research Organisation for Women’s Safety – l’organizzazione di ricerca australiana per la sicurezza delle donne – a partire dalla più recente ricerca su cosa porta la violenza contro le donne e come prevenirla, creando per la prima volta al mondo un quadro nazionale per porre fine alla violenza in famiglia. “Come abbiamo visto con altri gradi cambiamenti sociali, come la prevenzione per il fumo o indossare le cinture di sicurezza, abbiamo bisogno di un cambiamento governativo, organizzativo e sistemico all’interno della comunità”, spiega da Our Watch Natasha Stott Despoja.

Spagna. Quattro donne vittima di violenza in Spagna lo scorso fine settimana. Mentre decine di migliaia di persone hanno manifestato a Madrid contro la violenza di genere. La polizia della città settentrionale di Oviedo lunedì ha messo in custodia un cinquantunenne sospettato di aver ucciso la moglie. Un vicino – si legge su thelocal.es – ha trovato il corpo senza vita della donna sessantacinquenne insieme ad una lettera in cui il marito scriveva di averla uccisa. Il giorno prima la polizia aveva arrestato un uomo a Lliria a nord di Valencia, che aveva sparato a ex moglie ed ex suocera in pubblico. E sabato un altro uomo, ancora di 51 anni, ha ucciso la moglie prima di togliersi la vita in una città del sud est del Paese. I quattro femminicidi fanno salire a 45 il numero delle donne che sono morte per mano del partner o dell’ex dall’inizio dell’anno in Spagna.

Sierra Leone. Kadiatu Bangora, 19, si lascia sfuggire un gran sospiro e guarda per terra mestamente. “Ho commesso un errore”, dice. A raccontare la sua storia è Nadene Ghouri sul Guardian. Quella frase, o una variante di quella frase, viene ripetuta mentre ciascuna delle dodici madri o future madri adolescenti e non sposate racconta la propria storia seduta attorno al tavolo del Ministero della Pubblica Istruzione della Sierra Leone a Freetown. In una società conservatrice come quella di questo Paese, le ragazze madri non vengono certamente viste di buon occhio. E loro, le ragazze, sanno che dovrebbero mostrare un certo grado di penitenza. Sanno anche che sono fortunate ad essere dove sono: è stata data loro una seconda possibilità con l’inserimento nel programma nazionale lanciato il mese scorso back-to-school. Programma per riportare le ragazze madri all’interno del ciclo di istruzione. L’errore di Bangora, però – si legge ancora sul Guardian – non era dovuto a irresponsabilità adolescenziale ma alla disperazione. Quando il padre si è ammalato, infatti, lei è andata da un amico di famiglia per chiedere aiuto per comprare le medicine. “Non si ottiene niente per niente”, le ha detto lui. E infatti. Le ha dato 65 dollari per dormire insieme. Il padre di Bangora è morto, mentre lei, sei settimane dopo, ha scoperto di essere rimasta incinta. “Quando ho scoperto di aspettare un bambino non mi è stato permesso di rimanere a scuola. Mia mamma si è arrabbiata molto ma mi ha permesso di rimanere in casa perché non c’era nessun altro posto dove potessi andare. Il mio bambino è arrivato nel mese di febbraio, ma non sono tornata a scuola perché non abbiamo soldi”, dice. “Sarebbe immorale consentire a una ragazza incinta di rimanere a scuola”, spiega Oliva Musa dal Ministero della Pubblica Istruzione. “Le adolescenti sono molto vulnerabili alle pressioni dei coetanei e se le ragazze incinta in uniforme scolastica sono autorizzate a sedersi in classe riteniamo che questo potrebbe portare altri a pensare di poter fare lo stesso”. Dopo il parto – quando cioè non rischiano più di avere un impatto sui compagni di classe – sarebbero anche “libere di tornare”. Peccato che siano veramente poche a farlo. Oggi, Bangora e sua madre sbarcano il lunario vendendo riso e olio in una bancarella lungo la strada. Lei è una delle 4.000 ragazze che si sono volontariamente registrate per il nuovo programma, finanziato dal ministero britannico per lo sviluppo internazionale.

Cina. La fine della politica del figlio unico non è abbastanza. Latanya Mapp Frett, Executive Director di Planned Parenthood Global, che si occupa proprio di salute e natalità, ne scrive sul Time. I sostenitori dei diritti umani, dice, lodano a ragione la fine della decennale politica del figlio unico in Cina. Una politica controversa, introdotta con una serie di misure alla fine degli anni ’70 e attuata a livello nazionale nel 1980, che imponeva alle coppie di avere un solo figlio, con alcune eccezioni. Aborto forzato e sterilizzazione sono illegali in Cina, ma succedevano con frequenza ed erano pratiche favorite dalla legge. Pratiche che hanno storicamente danneggiato donne povere e di colore in modo sproporzionato in tutto il mondo. Che la Cina abbia posto fine alla sua politica del figlio unico, scrive la direttrice, è un passo importante, ma saremmo negligenti a non chiedere ulteriori riforme. Una nuova politica impone che a tutte le coppie sposate sia permesso di avere due figli. È meglio così? No, se si sceglie di avere tre figli. Fino a quando la Cina promuoverà un programma di pianificazione familiare volontaria completamente normato, starà continuando ad opprimere le famiglie cinesi attraverso politiche riproduttive coercitive. Nessun governo e nessun politico dovrebbero interferire con le decisioni profondamente personali che le donne prendono sul se e quando avere dei figli. Uno studio del Guttmacher Institute del 2013 dimostra ad esempio che quando una donna è in grado di decidere volontariamente se e quando avere figli, e quanti, tende ad andare più avanti negli studi, ed è più adattabile e resistente durante i periodi di difficoltà. Ecco perché gli organismi internazionali hanno continuato a ribadire che qualsiasi forma di coercizione o la restrizione della libertà delle donne è una forma di violenza contro le donne, e invitare le nazioni ad eliminare queste pratiche. Proprio il mese scorso i 193 Stati membri delle Nazioni Unite, tra cui la Cina, si sono impegnati a garantire l’accesso universale ai diritti riproduttivi entro il 2030.

Afghanistan. “Abbiamo avuto questo caso in cui ha chiamato una ragazza incinta: quando ha detto al suo fidanzato della sua condizione, lui è scomparso. E lei era disperata quando ci ha chiamato: stava pensando di suicidarsi”. A raccontarlo è un medico, Shkullah Hassanyar, sul sito del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Hassanyar fa parte di un team di medici dello staff della Youth Health Line, la prima linea telefonica progettata per fornire informazioni sensibili sulla salute ai giovani afghani. In Afghanistan le principali preoccupazioni per la salute pubblica comprendono la violenza contro le donne e le bambine, una diffusa tossicodipendenza, ma anche stress e depressione. Le ragazze devono affrontare anche alti tassi di matrimoni e gravidanze precoci, che portano forti rischi di lesioni legate proprio alla gravidanza e di morte. Secondo il Ministero della Pubblica Istruzione oltre 3 milioni di bambini non vanno a scuola. Anche chi va a scuola difficilmente trova occasione di porre domande di natura sessuale o insegnanti in in grado di affrontare questi temi delicati. L’Help Line, lanciata dal Fondo delle Nazioni Unite e dal Ministero della Salute Pubblica nel 2012, offre ai giovani un modo anonimo per ricevere informazioni e consigli per la salute in maniera precisa e non giudicante, da parte di professionisti del settore sanitario. Il servizio, disponibile sette giorni su sette, è cresciuto rapidamente, passando da uno staff di due medici nel 2012 a otto nel 2014. Il numero di chiamanti è aumentato vertiginosamente nel corso dell’ultimo anno, da 1.500 ogni mese a più di 3.000. Le chiamate sono gratuite, e il numero di telefono è facile da ricordare: 120.

Il Guatemala ha uno dei più alti tassi di gravidanze adolescenziali del mondo, con più di 5.100 ragazze sotto ai 14 anni che hanno avuto un bambino nel 2014. Ne parla il DailyMail. Lo stupro e l’abuso sessuale sono comuni, con il 30 per cento dei bambini nati da adolescenti il cui padre è lo stesso padre della ragazza. Molte ragazze incinta non capiscono il sesso e spesso il crimine non viene riconosciuto, con gli uomini che vedono le ragazze come loro proprietà.
Nonostante le leggi introdotte per frenare gli stupri adolescenziali, solo otto persone sono state condannate nel 2012 per reati sessuali che hanno portato alla nascita di un bambino. Il Daily pubblica le foto della fotografa svedese Linda Forsell in Guatemala, foto che raccontano le storie di queste ragazze. In Guatemala quasi un quarto di tutti i bambini sono nati da madri adolescenti. Alcune non hanno nemmeno raggiunto i 13 anni – nel 2011, 35 nuove mamme avevano appena 10 anni. Quasi tutte le nascite adolescenziali, il 90 per cento, coinvolgono un parente, il padre, come detto, nel 30% dei casi, o uno zio o un cugino. Un’epidemia che il governo sta cominciando a cercare di arginare: questa settimana è stata approvata una nuova legge che ha innalzato l’età legale per il matrimonio a 18 anni. Fino ad ora era di 14.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 9 ottobre 2015

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Il listino prezzi del mercato del sesso dell’Isis? Lo racconta Eve Ensler su The Nation. “L’Isis ne aveva bisogno per imporre un controllo dei prezzi, preoccupati com’erano di un calo del mercato. Le donne tra i 40 e i 50 anni costano 41 dollari, 62 dollari le trentenni e le 40enni, tra i 20 e i 30 anni valgono 82 dollari, mentre le bambine da uno a nove anni costano 165 dollari. Le donne con più di 50 non sono presenti nel listino: non hanno il valore di mercato. “Buttate via come si fa con i cartoni del latte”, scrive la Ensler. “Ma prima sono probabilmente state torturate, decapitate, violentate, poi gettate in una montagna di cadaveri in decomposizione”. E ancora: “Penso al corpo di una creatura di un anno in vendita e a cosa rappresenta per un soldato trentenne, guerrafondaio e depravato, portarlo a casa come con l’acquisto di un nuovo televisore. Cosa prova o cosa pensa quando scarta la carne di quella bambina e la violenta con il suo pene dalle dimensioni del suo stesso piccolo corpo?”. Un vero e proprio manuale della schiavitù, quello dell’Isis, racconta l’autrice de I monologhi della Vagina. Con un’ala del movimento organizzata come un ufficio della schiavitù sessuale. Qui il link dell’articolo.

A Città del Messico una manifestazione per fermare la violenza sulle donne. Ni una muerta mas: non una donna uccisa in più, gridano le manifestanti, vestite in abiti strappati e con sangue finto sul volto. Ridotte come un uomo riesce a ridurre una donna. La manifestazione, si legge su Fusion.net si inserisce nell’ambito di una diffusa lotta contro la violenza di genere nei quartieri operai che circondano Città del Messico. “Ogni giorno c’è una scomparsa, un femminicidio o uno stupro”, spiega Silvana Ornelas, attivista di 20 anni, che lavora con un’organizzazione chiamata Solidaridad por las Familias (Solidarietà alle famiglie ). Recentemente alcuni casi particolarmente morbosi hanno attirato l’attenzione dei tabloid di Città del Messico, ma i femminicidi sono molto più comuni di quanto la stampa riporti, scrive Nathaniel Parish Flannery. Quasi ogni giorno viene rinvenuto il corpo di una donna, gettato ai lati della strada o nei canali fuori città. Lo Stato del Messico è noto come il Paese più pericoloso per le donne. Il numero di donne uccise supera addirittura le cifre note per Ciudad Juarez, la città di confine un tempo nota come la capitale mondiale dei femminicidi.

Bangalore, sud dell’India. Un comitato di esperti sulla prevenzione della violenza sessuale contro donne e bambini ha chiesto una relazione sul caso di una 22enne che sarebbe stata stuprata da alcuni uomini ubriachi. “La polizia ha dichiarato che tre persone sono state arrestate”, ha spiegato ai giornalisti il presidente del Comitato. “Aspettiamo il rapporto del dipartimento di polizia prima di raccomandare un’azione rigorosa contro il colpevole”, ha detto.

Con l’aumento del numero di casi di stupro, femminicidi e altre forme di violenza di genere contro le donne nel distretto di Kailahun e nel resto della Sierra Leone, politici locali e nazionali hanno recentemente firmato degli impegni espliciti per fermare la violenza nella zona. Secondo l’Unità di sostegno alle famiglie, da gennaio si sono registrati un totale di 329 casi nel distretto di Kailahun, di cui 200 con gravidanze in età adolescenziale, 5 aggressioni con tentato stupro, 5 casi di violenza sessuale, 40 casi di penetrazione sessuale finiti in tribunale e 74 casi di percosse alla moglie di cui 35 a processo. Come si legge sul sito awoko.org, i numeri reali sarebbero diversi e molti casi non vengono portati in tribunale a causa della mancanza di testimoni, della latitanza dei colpevoli, ma anche dell’interferenza del capi tradizionali delle comunità, cui si aggiunge la mancanza di risorse per le vittime per avere accesso alla giustizia e le carenze dello stesso sistema giudiziario.

Su NewEurope un intervento di Snežana Samardžić-Marković, direttrice generale Democrazia e Affari politici del Consiglio d’Europa, fa il punto sul rapporto tra sistema giudiziario e donne in Europa. “Ogni giorno le donne si vedono chiudere in faccia le porte dei tribunali”, scrive la direttrice. A causa di una serie di ostacoli: tabù, pregiudizi, stereotipi, costumi, ignoranza. Persino le stesse leggi. “Le donne hanno maggiori probabilità di vivere in povertà, problema aggravato dalle misure di austerità in corso che le riguardano in modo sproporzionato. Hanno quindi meno probabilità di essere in grado di pagare le spese per un giudizio o anche i costi di viaggio. A una donna può essere negata l’assistenza legale perché l’ammissibilità è calcolata sulla base del reddito complessivo della famiglia, che può essere controllato dal suo compagno, ovvero proprio la persona contro cui sta magari denunciando. L’intera problematica è all’ordine del giorno delle attività del Consiglio d’Europa, che sta tentando di affrontarla con l’aiuto di esperti provenienti da tutto il continente. In tribunale, prosegue ancora Snežana Samardžić-Marković, viene spesso dato meno peso alla testimonianza delle donne, che invece si trovano ad affrontare stigma, molestie e rischi di ritorsioni. Non solo: può essere loro richiesto di presentare più alti standard di prova in casi di violenza sessuale o traffico di esseri umani. In Europa, meno del 14% degli stupri denunciati finisce con una condanna, e in alcuni Paesi questa percentuale scende addirittura al 5%. Le donne poi che si battono per cambiare lo status quo corrono maggiori pericoli – rispetto agli uomini – di essere vittima di aggressioni verbali e di minacce di morte.

L’Arcivescovo Paul-André Durocher di Gatineau, Quebec, ha detto che il Sinodo dovrebbe riflettere sulla possibilità di ordinare donne diacono per aprire loro un maggior numero di opportunità nella vita della Chiesa. Lo riporta il National Catholic Reporter. “Ove possibile, donne qualificate dovrebbero avere posizioni più elevate e potere decisionale all’interno delle strutture ecclesiastiche”, spiega l’arcivescovo a Catholic News Service, “insieme a nuove opportunità nel ministero”. Attualmente, la Chiesa cattolica permette solo l’ordinazione di uomini a diaconi. Il diacono è colui che può predicare, battezzare, celebrare un funerale o un matrimonio ma non la Messa, e non può neanche ricevere confessioni.

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Radio Bullets, #donnenelmondo del 9 settembre 2015

Hillary Rodham Clinton Signs Copies Of Her Book 'Hard Choices' In New York

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In Sierra Leone la ministra degli enti locali e dello sviluppo rurale, Finda Diana Konomanyi ha aderito ad un movimento internazionale per i diritti umani – cui partecipano molte donne del suo stesso Paese, per esprimere costernazione e preoccupazione per l’ondata di crimini contro le donne, in particolare le ragazze adolescenti in varie parti del Paese e ha invitato i capi e le altre autorità a contribuire ad affrontare la situazione. A metà agosto molte donne sono scese in piazza per una marcia pacifica in seguito alla morte di una ragazza in spiaggia ad Aberdeen, vittima, sembra, di uno stupro di gruppo. Morte che è solo l’ultima di una serie, di giovani vittime di stupro e brutali femminicidi.

A giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fatto la storia stabilendo che le coppie gay e lesbiche devono essere autorizzate a sposarsi. Da quel momento, scrive Parker Molloy su Upworthy, sposarsi è, in teoria, semplice: basta recarsi davanti ad un ufficiale del registro della contea, compilare un po’ di scartoffie e ritirare la propria licenza. In teoria. La scorsa settimana infatti un segretario di Contea del Kentucky ha negato licenze di matrimonio a delle coppie perché contro le sue convinzioni religiose personali. Per dimostrare che però non va sempre così, Parker Molloy raccnta su Upworthy la storia di un’eroina non celebrata della storia LGBT: Clela Rorex, ex impiegata della segreteria della Contea di Bulder. Nel 1975, Rorex era in servizio presso la contea di Boulder quando due uomini si sono presentati per chiedere una licenza di matrimonio. Rorex aveva iniziato il suo lavoro da appena tre mesi, ma avrebbe emesso una sentenza che sarebbe rimasta nella storia, si legge ancora su Upworthy. Lo ha spiegato lei stessa a StoryCorps. “Era la prima volta che incontravo persone apertamente gay. “Non so se posso farlo”, gli ho spiegato. Poi sono andata dal procuratore distrettuale, che mi ha detto che il codice del matrimonio del Colorado non specifica che l’unione sia tra un uomo e una donna. E così l’ho fatto”. Epperò. Da allora la Rorex ha ricevuto lettere minacciose, i giornali hanno scritto parole dure sul suo conto, la sua famiglia è stata molestata. “Non avrei mai immaginato questo livello di odio”, racconta. “Oltre alle minacce di morte intere congregazioni ecclesiastiche mi hanno scritto che far sposare coppie dello stesso sesso significava portare Sodoma e Gomorra nella zona”.

A proposito di Stati Uniti, sono passati 20 anni dal discorso di Hillary Clinton alla quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, il 5 settembre 1995. Su Bustle.com si trovano alcune citazioni di quell’intervento, da leggere per riflettere su quanto sia – o non sia – cambiato in 20 anni. “Dobbiamo capire che non c’è una formula secondo la quale le donne dovrebbero condurre la propria vita. Ecco perchè dobbiamo rispettare le scelte che ogni singola donna fa per se stessa e per la sua famiglia. Ogni donna merita la possibilità di realizzare il potenziale che Dio le ha dato. Ma dobbiamo riconoscere che le donne non guadagneranno mai piena dignità finché i loro diritti umani non saranno rispettati e protetti”. E ancora: “È una violazione dei diritti umani quando ai bambini viene negato il cibo, o quando vengono annegati o soffocati, o quando le loro spine dorsali vengono rotte, solo perché quei bambini sono nati femmine. È una violazione dei diritti umani quando donne e ragazze sono vendute nella schiavitù della prostituzione per avidità umana – e il genere di ragioni che viene utilizzato per giustificare questa pratica non dovrebbe più essere tollerato”. E ancora: “È una violazione dei diritti umani quando le donne vengono cosparse di benzina, date alle fiamme, e bruciate a morte perché la loro dote matrimonio considerata troppo esigua. È una violazione dei diritti umani quando singole donne vengono stuprate nelle loro comunità e, quando migliaia di donne sono sottoposte a stupro come tattica o premio di guerra”.

Islamofobia in Gran Bretagna: i crimini che hanno per matrice l’odio islamico sono saliti del 70% a Londra. E la maggior parte delle vittime sono di sesso femminile. Ne parla Radhika Sanghani sul Telegraph. “Sono stata sputata in in strada mentre indossavo il mio velo”, le racconta Sara Khan. “Sono stata chiamata ‘la moglie di Osama Bin Laden’. Con gente che mi si è avvicinata e dicendo parolacce e tentando di accecarmi persino mentre spingevo la carrozzina con mia figlia di sei mesi dentro”. Non si tratta di episodi isolati, spiega Radhika. La Metropolitan Police ha rilasciato in questi giorni nuovi report da cui emerge che i crimini motivati dall’odio contro i musulmani in Gran Bretagna sono aumentati del 70 per cento rispetto all’anno scorso. Tell Mama, un’organizzazione che monitora gli attacchi islamofobici, dice che il 60 per cento di queste aggressioni sono rivolte alle donne, e avviene per strada. Le donne diventano, dice Fiyaz Mughal, fondatore di Tell Mama, evidenti obiettivi per i razzisti che dirigono i loro attacchi a elementi visibili, quindi l’hijab – il velo – e il niqab, il velo integrale.

E sempre nel Regno Unito il governo ha ordinato un’inchiesta per ridurre la violenza contro le donne nelle università. Ai dirigenti universitari è stato ordinato di condurre una task force per esaminare il problema ed elaborare un codice di condotta “per portare avanti il ​​cambiamento culturale”. Le associazioni studentesche hanno accolto con favore la decisione, sottolineando come sessismo e molestie siano a livello pandemico.

Le donne nel movimento per i diritti in Kenya hanno chiesto al presidente Uhuru Kenyatta – in questi giorni in Italia per una visita ufficiale – di ritirare la rimozione del Vice Ispettore Generale Grace Kaindi, sostenendo una cospirazione continua contro le donne che ricoprono posizioni di rilievo nel servizio pubblico. Al di là della vicenda interna alla Polizia in questo caso, “Il movimento delle donne in Kenya è disturbato dalla tendenza costante di perseguitare donne leader nei pubblici uffici”, spiega Teresa Omondi, vice direttore esecutivo di FIDA. Il movimento, si legge su Standard Digital News, promette di arrivare in tribunale se il presidente non dovesse rivedere la sua decisione.

La stessa FIDA, Federazione internazionale delle donne avvocato, esprime – questa volta in Nigeria – preoccupazione per l’aumento della violenza contro le donne, in particolare di stupri, violenze sessuali, circoncisioni femminili e mutilazioni genitali. Hauwa Shekarau, la Presidente Nazionale della federazione, ha fatto appello ai media per condurre un’azione all’avanguardia nella lotta contro tutte le pratiche dannose e discriminatorie per donne, bambini e non solo.

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